(Lettera Napoletana) Secondo la Storia da libri di scuola, imbevuti di ideologia risorgimentale, la rivolta di Masaniello (7-16 luglio 1647) sarebbe stata una rivolta (qualcuno parla addirittura di rivoluzione) del popolo napoletano, guidato dal pescivendolo Tommaso Aniello, detto Masaniello, contro il dominio spagnolo, che “opprimeva con esose tasse e gabelle” il “vicereame” di Napoli.

Qualche storico risorgimentalista si spinge addirittura a vedere nelle rivolta “l’anelito all’unità d’Italia, e via immaginando, nell’ambito della leggenda nera sulla monarchia federativa delle Spagne – di cui quello di Napoli era un Regno – gli albori del “sentimento unitario”.

Lo studioso Gianandrea de Antonellis ha recuperato e pubblicato due opere letterarie contemporanee che hanno come sfondo la rivolta del 1647, e costituiscono un contributo significativo al recupero della verità storica su quegli eventi (Giulio Cesare Sorrentino – Alessio Pulci, Partenope pacificata. I tumulti del 1647-1648 in due rarissime opere letterarie coeve, a cura di Gianandrea de Antonellis, Club di Autori Indipendenti, Castellammare di Stabia 2020, pp. 135 € 15).

Partenope pacificata”, di Sorrentino, è un’opera per musica in 5 atti, forse rappresentabile anche in prosa. I protagonisti, personificazione allegorica delle passioni (la Discordia, il Timore, l’Interesse, la Sensualità) dialogano tra loro in napoletano, italiano e castigliano.

Il testo con lo stesso titolo, “Partenope pacificata, di Alessio Pulci, sacerdote aquilano, datato 18 aprile 1648 in una lettera di accompagnamento, è una composizione poetica con un panegirico (discorso in lode) dedicato a Don Giovanni Giuseppe d’Austria.

Al di là dei pregi letterari sono di grande interesse i riferimenti politici contenuti nelle due opere e documentano gli schieramenti presenti nella Napoli di metà ‘600. «Va evidenziata – scrive de Antonellis nell’introduzione – la visione essenzialmente positiva che Sorrentino riporta dalla Napoli imperiale […]. Al netto delle iperboli di circostanza è evidente che l’insurrezione e la repubblica hanno portato soprattutto danni”. Il rimpianto per “uno splendido passato rovinato dai tumulti” emerge nei duetti tra i protagonisti.

L’aristocrazia cittadina era schierata con la corona ispanica, il popolo basso, aizzato dai rivoltosi, a loro volta manovrati dal togato Don Giulio Genoino, parteggiava per la Francia e, temporaneamente, anche per la improbabile “reale repubblica”.

La “Partenope pacificata” di Giulio Cesare Sorrentino si chiude con l’elogio di Giovanni Giuseppe d’Austria, figlio di Filippo IV, paragonato al vincitore della battaglia di Lepanto, che vide la vittoria della flotta cristiana sui turchi. E l’ideale della difesa della Cristianità dal pericolo ottomano è anche presente in Don Alessio Pulci, che dedica al Principe “La Penna fedele”, invitandolo a liberare Creta dai Turchi.

I due autori, come i tanti scrittori e letterati censiti da Francisco Elías de Tejada nel suo “Nápoles hispánico”, guardavano alle Spagne per la difesa della Fede e della pace. Tejada non riuscì a leggere l’opera di Sorrentino, il cui forse unico esemplare è stato acquisito dalla Biblioteca Lucchesi Palli, sezione della Biblioteca Nazionale di Napoli nell’Ottobre 2019, ma solo una approssimativa e parziale trascrizione e non fa cenno di Pulci. Ma la due opere si iscrivono nel filone, ampiamente maggioritario, degli intellettuali che nutrivano l’ideale di una Napoli capitale di un regno d’Italia, federato alle Spagne. (LN148/20).

 

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