Garibaldi: l’eroe fasullo dell’Italia laica e anticristiana

Il 2007 è stato l’anno bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi.

Tutte le Istituzioni italiane, nazionali e locali, hanno concorso sollecitamente a “celebrare” l’evento, dando per scontato che non si potesse fare altro, stante il fatto che Garibaldi sarebbe universalmente riconosciuto come eroe per antonomasia. A questo scopo è stato costituito un Comitato formato da ben 110 componenti, con un finanziamento pubblico di un milione di euro più i contributi delle Regioni, e sono stati mobilitati Prefetture, Archivi di Stato, scuole ecc..

Ciò nonostante le celebrazioni sono fallite. Paradossalmente, il bicentenario ha finito per trasformarsi in una anti-celebrazione ed è divenuto l’occasione per un’opera di contro-informazione su Garibaldi e sulle Due Sicilie che ha prevalso sulla propaganda ufficiale, nonostante la disparità di mezzi, ed ha reso evidente che il “mito” di Garibaldi ormai non riesce più a svolgere la funzione ideologica per la quale fu costruito. È stato così svelato il Garibaldi massone, ateo, schiavista, forse satanista e uxoricida, certamente strumento della rivoluzione portata in un Regno pacifico e dello scempio di un popolo e della sua identità.

Ma, in ultima analisi, le celebrazioni garibaldine sono fallite perché sono passati 150 anni.

Non è che semplicemente sia cambiata la sensibilità, che siano cambiati i tempi, magari che l’“eroismo” non vada più di moda. È che sono passati 150 anni di storia, di vita quotidiana, di cronaca, di realtà concreta, di verità.

E sono stati 150 anni di verifica, che hanno reso evidente la falsità di tutto quello che costituiva il mito garibaldino e dell’impresa dei Mille. Le menzogne ideologiche non posso reggere il confronto con 150 anni di realtà vissuta sulla propria pelle dai Meridionali:

– il mito della libertà non poteva reggere di fronte alle migliaia di prigionieri, alle deportazioni, alle leggi speciali;

– il mito della giustizia non poteva reggere di fronte alle ruberie, al sopruso;

– il mito del progresso non poteva reggere di fronte alla sistematica devastazione sociale ed economica, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti (oggi è in ripresa l’emigrazione dalle regioni meridionali, la stessa che tra il 1874 e il 1814 portò nel mondo 5 milioni di meridionali, quasi metà della popolazione);

– il mito dell’Italia unita non poteva reggere di fronte all’oppressione di un popolo e alla cancellazione di una cultura, all’imposizione di uno schema mentale lombrosiano secondo il quale i Meridionali sono apatici, incivili, briganti per costituzione genetica, per inferiorità razziale (del resto, le classiche accuse che vengono mosse alla società meridionale, l’arretratezza e il sottosviluppo, non sono connotazioni di carattere scientifico-economico, non sono dati oggettivi, ma piuttosto valutazioni di carattere moralistico);

– il mito stesso del risorgimento non poteva reggere, essendo fondato sulla necessità che il Meridione diventasse una “questione”. In realtà, esso è stato, e per certi versi è ancora, una “questione” soltanto nell’ottica del risorgimento stesso; al di fuori di essa, la pretesa marginalità del Sud della storia non è mai esistita e la sua pretesa inferiorità politica, economica, civile non è che una menzogna. I Regni del Sud, e quello delle Due Sicilie per ultimo, furono per settecento anni una delle maggiori espressioni di quella cristianità, di quella cultura e ordine sociale che hanno fatto l’Occidente e contro di essi la Rivoluzione, compresa quella italiana, ha sferrato il proprio attacco.

Infine, il mito garibaldino non poteva reggere, perché è servito soltanto a mascherare una rivoluzione liberale e farla sembrare la genesi di una Nazione. Ma, come tutti sappiamo e come 150 anni di vita ci hanno dimostrato, le Nazioni non nascono dalla forza delle armi.

Così tutt’al più nascono gli Stati, mere entità amministrative.

Il testo che mettiamo a disposizione dei lettori è una delle relazioni del Convegno “Ma quale eroe … per farla finita con Garibaldi”, tenuto a Napoli il 14 dicembre 2007, in chiusura delle anti-celebrazioni. Ne è autore Guido Vignelli, del Centro Culturale Lepanto, collaboratore di diverse riviste e giornali, ed autore di numerosi articoli e libri.

 

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