L’articolo che riproduciamo offre un quadro chiarissimo di ciò che avvenne nel 1848, anno fondamentale nell’avanzare della Rivoluzione in Europa e in particolare nella penisola italiana, tanto da essere divenuto emblematico di una situazione di caos e di stravolgimento generale.
Massimo Viglione, docente presso la cattedra di Storia Moderna dell’Università di Cassino, autore e curatore di numerosi testi sulle insorgenze del 1799 e sul risorgimento, ritrova il filo che unisce tutte le rivolte scoppiate in quell’anno nell’aspetto marcatamente anticristiano che le connota. Il 1848 si configura come l’inizio sistematico ed organizzato quell’opera di dissoluzione del retaggio tradizionale europeo, perseguita attraverso la distruzione dell’ordine statuale e sociale dei singoli Regni, che fu il vero fine ultimo dell’epopea rivoluzionarie europea e del risorgimento italiano in particolare. Quest’opera si fermerà, sul piano istituzionale, soltanto con la caduta dell’ultimo grande Impero cattolico, quello Asburgico, alla fine della I Guerra Mondiale, ma continuerà la propria penetrazione nei corpi sociali attraverso un potente attacco sferrato sul piano culturale e morale che dura ancora ai giorni nostri, necessario per poter avviare i successivi passaggi verso la dissoluzione individuale e collettiva.
L’articolo di Massimo Viglione è stato pubblicato sulla rivista Il Timone (n. 16 novembre/dicembre 2001).
1848 l’anno rivoluzionario
Il 1848 è considerato come “l’anno delle rivoluzioni”, e tale affermazione è più che indovinata, in quanto non si è mai ripetuto nella storia un sommovimento generale di carattere rivoluzionario che abbia avuto una simile simmetria spazio-temporale.
Per comprendere meglio quanto accadde in quei giorni occorre naturalmente inquadrare il tutto nel più vasto fenomeno di quel processo secolare – comunemente denominato “Rivoluzione” – finalizzato alla totale sovversione della civiltà, della società e della Tradizione cristiana ed europea – in atto ormai dalla fine dell’età medievale. Il ‘48 infatti non avrebbe mai potuto avere luogo senza che in antecedenza fosse avvenuta la Rivoluzione Francese, né potrebbe mai oggi essere compreso se non alla luce della immensa portata storica, politica e sociale di quell’avvenimento capitale per la storia dell’umanità. Un aspetto a volte un po’ troppo dimenticato del 1848 è proprio il suo ruolo intrinsecamente anticristiano, a partire dalla rivolta anticattolica svizzera per arrivare ai provvedimenti social-radicali di Parigi e alle vessazioni e violenze anticlericali, triste presagio di ciò che poi accadrà sotto la Comune del 1870; a partire dai provvedimenti finalizzati alla laicizzazione della società adottati da tutti i governi rivoluzionari in carica, per arrivare all’esclusione del partito cattolico (i grandi tedeschi), legato agli Asburgo, dal processo di unificazione dei popoli germanici, a vantaggio dei piccoli tedeschi, legati alla dinastia protestante prussiana; per non parlare delle vicende di Roma mazziniana, che causarono l’esilio del Pontefice Pio IX a Gaeta.
L’intero movimento fu caratterizzato da entrambi i principii ideologici – rivoluzionari per essenza – stabiliti ufficialmente con la Rivoluzione Francese, il liberalismo ed il socialismo: fu liberale nei suoi ideali generali, negli uomini che lo attuarono e nell’uso strumentale che si fece dell’idea di sovranità nazionale in contrapposizione a quella di Monarchia per Grazia divina e di sacralità del potere politico (movimenti nazionalisti ed indipendentisti); fu socialista nei suoi presupposti di rivoluzione sociale (rivoluzioni parigine di febbraio e giugno e pubblicazione de Il Manifesto di Marx ed Engels). L’anno in questione segna simbolicamente ma irrevocabilmente la fine dell’età della Restaurazione; ma determina anche la fine dell’età del romanticismo, almeno di quello inteso – nel senso meno peggiore del concetto – come reazione alle squallide istanze razionalistiche, sensistiche e scettiche dell’illuminismo; infatti, dalla metà del secolo in poi, un nuovo ideale andrà sempre più instaurandosi nella mentalità collettiva europea: il mito del progresso inarrestabile e positivo, altrettanto e ancor più razionalista nel suo materialismo e ateismo.
È infatti proprio con la momentanea e fallace restaurazione postquarantottesca che, rimesse in ordine le cose e sventato per il momento il pericolo socialista, i potentati economici europei danno il via alla grande e definitiva avventura del colonialismo e dell’imperialismo, favorendo però di contro il diffondersi delle idee di sovversione socialiste e anarchiche e i moti insurrezionali unitari tedesco e italiano, è in questi anni che esplode quella seconda rivoluzione industriale che avrebbe sconvolto per sempre il vivere quotidiano degli uomini; ed è in questi anni che si gettano i presupposti per la futura eliminazione dì quel poco che ancora rimaneva – tanto nell’ambito politico quanto in quello dei costumi e delle usanze – dell’antica civiltà e società cristiana europea, preparando quel suicidio collettivo consumatosi tra il 1914 e il 1918 che procurò, oltre a 10 milioni di morti, la cancellazione dalla storia dell’Impero cattolico, l’imposizione della società di massa e l’instaurazione concreta del comunismo nel mondo, gettando per altro le basi per la futura guerra e quindi per la successiva pace di Yalta.
La sconfitta delle istanze rivoluzionarie fu solo apparente: a Parigi, in quello stesso anno, cade la Monarchia capetingia e, solo 22 anni dopo, cade la Monarchia; in Germania, la rivoluzione è rinviata solo di 20 anni; in Italia, ne basteranno solo 10. Per quanto concerne infine l’Impero asburgico, è superfluo sottolineare quanto il ‘48 abbia corroso i presupposti della sua esistenza e abbia preparato il suo crollo 70 anni dopo, attizzando tutti i focolai nazionalisti balcanici.
Guardando oggi a quegli eventi nella loro ottica generale, ciò che più colpisce è senz’altro l’aspetto “totalizzante” di questo moto insurrezionale collettivo europeo: è come se, pur mossi da esigenze di varia natura e operanti in situazioni locali ben differenti le une dalle altre, i rivoluzionari svizzeri, francesi, tedeschi, austriaci, ungheresi, boemi, più tutti gli esponenti del movimento risorgimentale italiano, divisi nei differenti Stati della Penisola, si fossero dati un, per così dire, “appuntamento sovversivo” generale per quell’anno specifico, al quale, dal canto suo, non mancò neanche lo stesso Marx, con la pubblicazione del suo Manifesto. Riesce ben difficile poter pensare che tutta questa serie concatenata di rivoluzioni possa essere “frutto del caso”, o magari, come certa storiografia tende a far credere, conseguenza dell’incontenibile odio dei popoli oppressi che innesca un meccanismo inarrestabile di ribellione per la libertà. Ciò evidentemente è ridicolo, anche perché è ormai cosa arcinota che il vero problema dei moti d’indipendenza, e in particolare di quello risorgimentale, era la pressoché totale assenza di iniziativa veramente popolare, e quindi di “consenso delle masse”, marxianamente parlando. È il celebre problema della “rivoluzione passiva” di cuochiana memoria. E identico discorso può essere fatto anche per gli altri paesi coinvolti in rivoluzioni, comprese la Svizzera e ancor più la Francia, ove la rivoluzione, in maniera ancora maggiore che negli anni del giacobinismo, fu esclusivamente operazione “parigina”.
Se, dal punto di vista rivoluzionario, il ‘48 terminò nella cosiddetta “reazione”, ciò fu dovuto proprio all’assoluta indifferenza, quando non ostilità, delle popolazioni: ciò è talmente evidente che nessuno oggi osa disconoscere tale verità. Quello che però quasi nessuno osa affrontare è il tentativo di spiegare come mai si innescò allora un tale irresistibile sommovimento generale europeo, tanto di carattere liberal-nazionale quanto radical-socialista, per di più scoppiato nel giro di pochi mesi ovunque con una serie concatenata di convulsioni incontrollate. Evidentemente esiste una sola logica spiegazione storico-politica: tutto ciò fu sapientemente preparato, coordinato ed abilmente attuato dalla regia delle società segrete, di stampo più o meno massonico, che tutti sappiamo essere a quei tempi attivissime.
Inutile nascondercelo: un ordine partì, e cospiratori di tutta Europa insorsero in armi per fare la Rivoluzione, anche se nella certezza morale del fallimento, e questo secondo il principio che ogni sconfitta nella politica può divenire una vittoria nella storia. Infatti, da questo punto di vista, l’importanza del ‘48 fu determinante: pur se nel fallimento generale, esso è accaduto, e da quel momento costituisce una pietra miliare nella storia secolare di quel fenomeno di totale sovversione della civiltà cristiana che prende il nome di Rivoluzione. Da questo punto di vista, esso fu veramente la “Primavera dei popoli”, anche se i popoli non vi parteciparono affatto, in quanto vi parteciparono però nel racconto dei protagonisti sopravvissuti, nei libri di storia, nei giornali rivoluzionari, nella leggenda della “vulgata” risorgimentale, nella memoria collettiva delle generazioni future: in tal senso, il ‘48 fu la più grande delle vittorie della Rivoluzione, tanto che lo stesso nome evoca il concetto di rivolta e confusione contro l’ordine stabilito.
Per capire meglio quanto detto, riassumiamo sinteticamente il divenire cronologico del progressivo affermarsi dei moti sovversivi:
– Novembre 1847: In Svizzera le forze radicali sconfiggono il partito dei cantoni cattolici, il Sonderbund, trasformando la Confederazione in uno Stato federale e democratico in nome del principio della sovranità popolare che, come essi proclamarono apertamente, avrebbe dovuto trionfare di lì a poco anche negli altri Paesi europei.
– 12 gennaio 1848: scoppia a Palermo un moto insurrezionale guidato, tra altri, da La Masa; si costringe Ferdinando Il (1830-1859) a concedere la Costituzione al Regno delle Due Sicilie (febbraio).
– 22 febbraio: Insorge Parigi, ove avviene la prima rivoluzione socialista della storia, come Marx e il celebre storico liberale Tocqueville ebbero a dire.
– Febbraio e marzo: Leopoldo II in Toscana (17 febbraio), Carlo Alberto in Piemonte (4 marzo) e Pio IX (14 marzo) concedono la Costituzione.
– 13 marzo: insorge Vienna, Metternich cade e viene concessa la Costituzione.
– 17 marzo: insorge Berlino non solo per la Costituzione, ma per l’unificazione della Germania.
– 19 marzo: insorgono anche i liberali di Budapest, guidati da Luigi Kossuth, e la Boemia per l’indipendenza dall’Austria.
– Dal 18 marzo anche Milano è in rivolta, e dal 20 Venezia, ove si proclama restaurato il governo della Serenissima; quindi scoppiano rivolte anche nei Ducati di Parma, dove viene cacciato il duca Carlo II (1799-1883) e Modena, dove viene cacciato Francesco V d’Este (1846-1859).
– 23 marzo: Carlo Alberto dichiara la guerra all’Impero Austriaco e da questo momento inizia il più importante di tutti i moti indipendentistici europei del 1848, quello italiano, con la cosiddetta Prima Guerra d’Indipendenza: inizia il Risorgimento nel suo aspetto militare.
– 29 aprile: Papa Pio IX ritira le sue truppe con la motivazione che un Pontefice non può fare guerra a uno Stato cattolico come l’Austria.
– 24 novembre 1848: scoppia un’insurrezione a Roma e Papa Pio IX è costretto a riparare a Gaeta. Resterà in esilio fino all’aprile 1850.