L’articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre 1994 della rivista di attualità e cultura Appunti, a firma di Marina Carrese.

È possibile tramutare in vittoria una sconfitta subita due secoli addietro?

Sembrerebbe proprio di sì, a giudicare da quello che sta accadendo in Vandea da alcuni anni a questa parte. 

Tanto per cominciare, la piccola regione dell’ovest della Francia compare sempre più spesso sulle pagine di quotidiani e riviste, scatenando non di rado polemiche ed alzate di scudi. Anzi, è divenuta addirittura quasi un elemento discriminante tra parti politiche, pro o contro. Il simbolo vandeano per eccellenza, il cuore crociato, è già da tempo patrimonio comune e riconosciuto di diversi ambienti cattolici e tradizionalisti, e la visita ai luoghi della Vandea Militare ha assunto più o meno il carattere del pellegrinaggio alla riscoperta della storia perduta.

Storia ormai conosciuta da tutti, almeno nelle linee essenziali: la Vandea fu il luogo in cui si realizzò, forse nel modo più completo fino ad oggi, la Controrivoluzione.

Pacifico dipartimento agricolo, lontano da Parigi circa 400 chilometri, accolse con moderato favore i primi movimenti rivoluzionari del 1789, sperando in alcune riforme; bastarono pochi mesi per svelare il vero volto della Rivoluzione e la diabolica intenzione, non già di riformare, bensì di ricreare,secondo un nuovo ordine, il mondo intero e con esso gli uomini stessi. I disordini, le rapine perpetrate in nome dell’uguaglianza, la soppressione delle libertà medioevali ancora riconosciute e dei benefici concreti che esse producevano, in cambio di una teorica Libertà assoluta, l’incertezza del diritto, la violenta imposizione della sacrilega religione di Stato, la ghigliottina, la leva obbligatoria di 300 mila uomini, diffusero, in breve, malcontento e ribellione. La decapitazione del Re Luigi XVI e la Costituzione Civile del Clero furono duri colpi per i vandeani, che pure avevano pazientemente atteso che la follia di quegli anni avesse termine, ma che vedevano ora cancellati dalla Repubblica i valori più sacri. I tempi erano ormai maturi: tra il 10 e il 13 marzo 1793, contadini e artigiani imbracciarono i forconi e iniziarono la rivolta, guidati da un venditore ambulante, Cathelineau, e da un guardiacaccia Stofflet. Presto si recarono dai piccoli nobili della regione perché prendessero il comando di quelle truppe male armate, non addestrate, costituite da povera gente avvezza certamente più alla zappa che al fucile, ma pronta a dare la vita in nome di Dio e del Re e per ricostruire l’ordine sociale nel quale si riconosceva e che la Rivoluzione aveva sovvertito.

Così nacquero, potremmo dire quasi naturalmente designati, i capi della Controrivoluzione Vandeana: Bonchamps, d’Eblée, La Rochejaquelein, Sapinaud, Lescure, Charette.

Contro di loro la Convenzione inviò le sue truppe migliori e più feroci, compresi dei corpi speciali, le Colonne Infernali di Torreau, con il compito di mettere letteralmente a ferro e fuoco l’intera regione. In circa tre anni di guerra furono massacrate centinaia di migliaia di uomini, donne vecchi e bambini, passati per le armi, bruciati, oppure annegati, per risparmiare i proiettili. Con la fucilazione di Charette, l’ultimo e forse il più grande capo controrivoluzionario, la Vandea fu definitivamente sconfitta e quel che ne restava fu deportato, normalizzato, posto nell’oblio storico per ben due secoli.

Dall’oblio, però, la Vandea ha saputo uscire e, per di più, approfittando proprio delle celebrazioni per il bicentenario della Rivoluzione Francese. Splendido esempio di Nemesi!

Dal 1989 in tutta la regione hanno preso il via numerosi progetti culturali e di grande richiamo turistico che ne hanno fatto conoscere la vera storia ai francesi prima e agli europei ora. La maggiore e la più completa di queste iniziative è senz’altro il Puy du Fou, che comprende il parco del Grand Parcours e la spettacolare Cinéscénie.

Il parco storico ed ecologico inaugurato appunto nel 1989, è un percorso a tema che ricostruisce, su trenta ettari di superficie, l’ambiente naturale e sociale della Vandea e i momenti salienti della sua storia.  All’interno delle mura del villaggio medioevale, paesani, contadini e donzelle in costume svolgono le loro quotidiane attività, mentre mercanti e bottegai sono intenti al lavoro; un torneo cavalleresco e uno spettacolo di falconeria, l’arte medioevale della caccia con rapaci, si svolgono poco lontano. Sulla piazza del villaggio settecentesco si aprono i laboratori di autentici artigiani locali del legno, del cuoio, del vetro, della pietra, e le botteghe delle ricamatrici, degli impagliatori, dell’erborista che prepara tisane, dell’artista che dipinge la pergamena. Non manca, ben visibile su una collinetta, un mulino tipico della regione, che durante la guerra controrivoluzionaria serviva per segnalare gli spostamenti delle truppe e per inviare messaggi. Si attraversa un piccolo bosco e ci si trova nel mezzo della guerra, passando tra chiese distrutte e incendiate dai repubblicani, visitando accampamenti notturni attorno al fuoco, partecipando a messe clandestine celebrate al riparo degli alberi; e tra gli scoppi dei fucili e le cannonate, si incontrano Charette e gli altri capi vandeani e i contadini che combattevano con loro.

Tutto questo viene offerto alle migliaia di visitatori che ogni giorno entrano al Puy du Fou e che la scorsa stagione sono stati ben 560 mila, il 16% in più rispetto all’anno precedente. Altrettanto numerosi sono stati gli spettatori della Cinéscénie, lo spettacolo rievocativo che, dal 1978, viene presentato tutti i fine settimana, in notturna, per ventiquattro volte a stagione: quest’anno lo hanno visto 325 mila persone.

Unico al mondo nel suo genere, messo in scena nel più grande teatro d’Europa, lo spettacolo è animato da 750 attori e 50 cavallerizzi, ma occorrono 2000 persone per preparare e portare a buon fine ogni rappresentazione. Non si tratta di professionisti ma di volontari, provenienti dai quindici comuni del comprensorio del Puy du Fou che hanno imparato a fare i costumisti, i tecnici delle luci e dei suoni, i tecnici degli effetti speciali, gli attori; che si occupano del parcheggio, della biglietteria, dell’accoglienza dei tredicimila spettatori che ogni sera occupano le tribune, già una volta ampliate e ancora insufficienti. Viene rappresentata la storia della Vandea, attraverso il racconto di una famiglia, attraverso la tradizione orale della memoria; si tratta quasi della celebrazione del Vandeano, “uomo di granito” che percorre i secoli rimanendo sempre fedele a se stesso e ai valori tradizionali che lo hanno guidato attraverso vicende, spesso drammatiche. Il momento più alto dello spettacolo è, ovviamente, la rievocazione dell’epopea controrivoluzionaria e della devastazione passata sulla regione come un vento violento che sembrava aver spazzato via tutto.

Così non è stato: i vandeani hanno saputo ricostruire il proprio mondo familiare e sociale e conservare la propria identità. Questo messaggio è stato ripetuto in 18 anni a sei milioni di spettatori, provenienti da tutti i paesi d’Europa, ma soprattutto è stato ripetuto ai vandeani stessi perché ne prendessero coscienza e ne sentissero l’orgoglio. Un’impresa come il Puy du Fou non è cosa che si improvvisi, né può essere mossa esclusivamente da interessi commerciali, anche se ormai il fatturato è nell’ordine delle decine di miliardi di franchi. Alla base deve esserci un’idea forte, un interesse e un’animazione culturale che prepari il terreno e lo semini, che permetta alle radici indebolite dell’identità di un popolo di fortificarsi e crescere.  

La Vandea ha avuto questa possibilità grazie all’Associazione del Puy du Fou, nata nel 1977 per iniziativa di Philippe de Villiers, ideatore e organizzatore della Cinéscénie. L’Associazione conta 2400 soci benefattori, originari dei comuni del Puy du Fou che sono partiti dalla riscoperta delle tradizioni locali, dei canti tramandati di madre in figlia, delle musiche e delle danze. La ricerca ha trovato come mezzo di espressione e di divulgazione lo spettacolo, che ha fatto conoscere a tutta la Francia i Puyfolais e la Vandea che essi andavano raccontando, ben diversa da quella misconosciuta dei libri di storia. È stato solo l’inizio: sono nati, negli anni, l’emittente libera locale Radio Alouette, un giornale e una rivista, un circolo archeologico, un museo, un gruppo di ricerca sulle tradizioni popolari, una scuola di danza popolare, una scuola di equitazione e di cascatori, giunta a livelli nazionali, una scuola di falconeria, un circolo teatrale, il Grand Parcours. Tutto è stato totalmente autofinanziato e, anzi, ha avuto una positiva ricaduta economica che va ben al di là dei 400 posti di lavoro stagionali offerti dal Puy du Fou. La ricerca di musiche medioevali ha dato vita ad un genere musicale che ha ormai vere e proprie star; l’artigianato locale ha avuto un forte impulso e l’economia di tutta la regione è stata vivificata dal continuo e crescente afflusso di turisti che ora giungono per soggiornare, mentre prima attraversavano soltanto quelle località per raggiungere la costa atlantica. E non è tutto: i Puyfolais, lungi dal richiedere finanziamenti pubblici, devolvono in beneficenza parte dei guadagni.

È stato costituito un fondo per lo sviluppo delle attività culturali dei 15 comuni della zona; 850 mila franchi sono stati donati alla Regione per il restauro del castello nel quale ha sede il Museo; vengono regolarmente sostenute iniziative di aiuti internazionali, per esempio a favore dei bambini libanesi.

Infine, dopo 18 anni di lavoro volontario e di animazione culturale, l’impegno di tante persone ha avuto anche una evoluzione istituzionale, con la nascita di un movimento politico, Combat pour le valeurs, del quale è leader Philippe de Villiers, che al suo esordio elettorale ha riscosso il 12% dei consensi nazionali.

Davvero una vittoria su tutti i fronti, per la Vandea “sconfitta” dalla Rivoluzione! O forse, semplicemente, la verità non può essere sconfitta.