(Lettera Napoletana) Il 10 Maggio 1734 Carlo di Borbone entrava trionfalmente a Napoli e un anno dopo, il 3 luglio 1735, si faceva incoronare a Palermo “Rex utriusque Siciliae” (Re delle Due Sicilie), riprendendo il titolo che aveva voluto il Re aragonese Alfonso il Magnanimo nel 1442 e che già in passato aveva sottolineato il carattere unitario della parte meridionale della penisola italiana.

Figlio di Elisabetta Farnese, grazie agli incroci tra le famiglie Medici e Farnese ed al trasferimento a Napoli di Bartolomeo Corsini, primogenito della nobile famiglia fiorentina, Carlo di Borbone aveva ereditato un importantissimo patrimonio artistico, diventando “l’erede dell’intima essenza di tutta la cultura italiana”.

L’aggettivo italiano, nel ‘700 come nei secoli precedenti, – va detto – aveva un significato diverso da quello odierno. Non faceva riferimento ad una realtà politica, ma ad un denominatore comune (la fede cattolica, la lingua colta, la sensibilità artistica) al di là delle diverse nazionalità e dei diversi Stati che erano presenti nella penisola.

Un libro della giovane studiosa salernitana Alessia De Santis (“Carlo di Borbone e le eredità Medici e Farnese”, Stamperia del Valentino, Napoli 2018, pp. 156, € 20), ricostruisce i rapporti dinastici ed il contesto storico europeo nel quale si formò il capitale artistico e culturale del Regno dei Borbone-Due Sicilie.

Una volta divenuto re – scrive l’autrice – Carlo a Napoli ha creato la Bellezza, la stessa bellezza con cui i Farnese nel corso dei secoli hanno impreziosito Roma, Caprarola, Parma e Piacenza, come a loro volta avevano imparato a fare dai Medici a Firenze.

L’attrazione esercitata da Napoli – che al tempo di Carlo di Borbone era già una delle più grandi capitali europee, contando tra 250 mila e 400 mila abitanti – sugli intellettuali e gli artisti divenne fortissima. “Il nuovo granduca di Firenze Francesco Stefano di Lorenaricorda Alessia De Santis – nel 1738 fu costretto ad emanare un editto per impedire l’emigrazione dei toscani verso Napoli” .

“Si partì con l’ampliamento del Palazzo Reale che affaccia sul golfo di Napoli (…) seguirono poi nuove regge, come quella di Capodimonte, dove hanno trovato riparo i dipinti che i Farnese avevano collezionato per secoli. (…) Quando si decise che la reggia di Capodimonte avrebbe ospitato i quadri della Collezione Farnese, fu convocata una commissione ad hoc per deciderne la futura collocazione. Si sarebbero dovuti ospitare i dipinti nella sale più illuminate ed asciutte, situate a Sud, di fronte al mare, mentre a Nord, nel lato che affaccia sul bosco si sarebbero stati custoditi libri, medaglie ed altri oggetti preziosi”.

Oggi i quadri che ritraggono gli uomini che hanno dato origine alla dinastia dei Farnese sono raccolti tutti in un’unica sala: il Ritratto di Alessandro Farnese senior (poi Papa, con il nome di Paolo III), realizzato da Raffaello”. Ad essi se ne aggiungono numerosi altri realizzati da Tiziano.

A Firenze, dove aveva soggiornato per sei mesi nel 1732, Carlo di Borbone aveva apprezzato la tecnica degli artigiani fiorentini. “Quando seppe che gli Asburgo Lorena avevano soppresso l’Arazzeria Medicea, volle che il patrimonio di sapere creato dai Medici non andasse disperso. Fondò così a Napoli, sopra San Carlo alle Mortelle, la Regia Fabbrica degli Arazzi, dando lavoro ai molti artigiani che ne erano rimasti privi a Firenze”.

Fu creato a Napoli anche un laboratorio delle pietre dure, chiamandovi a lavorare l’artigiano fiorentino Francesco Ghinghi, e poi la famosa Fabbrica di porcellane di Capodimonte, sul modello di quella di Meissen, piccolo centro nei pressi di Dresda, dove era nata la moglie di Carlo di Borbone, Maria Amalia di Sassonia.

La produzione di porcellana iniziò – scrive Alessia De Santis – quando furono trovati depositi di caolino, il minerale occorrente per conferire la giusta durezza al materiale, che il Re aveva dato ordine di cercare sul territorio del regno.

Quegli opifici (…)osserva l’autrice – altro non costituivano che la diretta prosecuzione della magnificenza medicea”.

Durante i lavori di costruzione della Reggia di Portici (1738) furono scoperti i resti di intere ville romane, arredi, oggetti di ogni tipo ed utensili. Era l’antica Ercolano, sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. Re Carlo, nonostante l’opposizione della Corte, che li riteneva troppo costosi, ordinò la prosecuzione degli scavi, che portarono alla scoperta dei resti di Pompei e Stabia. Il figlio di Carlo di Borbone, Ferdinando IV, raccolse statue, affreschi e mosaici emersi dalle città sepolte e li aggiunse alla collezione Farnese per costituire l’attuale Museo Archeologico Nazionale, tra i più importanti del mondo.

E poi c’è la realizzazione del Teatro San Carlo (1737), 41 anni prima della Scala di Milano, il teatro d’opera più antico al mondo, la tenuta di Persano, nel Salernitano, l’avvio della costruzione della Reggia di Caserta, due milioni di metri cubi di volumi, che ne fanno la più grande del mondo, solo per citare le opere maggiori.

Alla fine del Settecento – conclude Alessia De Santis – la corona di delizie di Napoli, avente per gemme regge e siti archeologici unici al mondo, era completa. (LN133/19)

 

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