(Lettera Napoletana) Come mai lo Svimez ha diffuso in piena estate (30 luglio) le anticipazioni sul proprio “rapporto 2015 sull’economia del Mezzogiorno”, che da anni viene diffuso invece in autunno? Ma poi serve davvero al Sud il pluridecennale lamento sul sottosviluppo economico di questo Istituto di ricerche, ufficialmente privato, ma finanziato da Stato e Regioni?

Per rispondere bisogna guardare alle origini dell’ “Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno” (Svimez). Fondato nel 1946 da un gruppo di imprenditori e politici, lo Svimez sostiene la necessità di un intervento diretto dello Stato nell’economia del Mezzogiorno per favorirne lo sviluppo. Progettato negli ambienti dell’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), creato dal fascismo, lo Svimez ebbe tra i fondatori il socialista milanese Rodolfo Morandi, suo primo presidente, l’ingegnere vicentino Giuseppe Cenzato, inviato a Napoli dalla sua impresa, ed il democristiano di sinistra Pasquale Saraceno, assunto all’IRI nel 1933 e divenuto collaboratore del ministro democristiano del bilancio e dell’economia Ezio Vanoni.

Il risultato più importante ottenuto da questa lobby imprenditoriale e finanziaria, progettata al Nord, la cui continuità con l’IRI appare data dalle affiliazioni massoniche dei vertici, fu la nascita della Cassa per il Mezzogiorno (Casmez), fondata a Roma nel 1950 e chiusa formalmente nel 1984.

La Casmez, ha prodotto effetti profondamente distorsivi nell’economia del Sud. Da un lato ha erogato per decenni massicci finanziamenti alle grandi imprese del Nord, assegnatarie degli appalti per la realizzazione delle infrastrutture del Sud a danno di quelle meridionali, alterando i meccanismi di concorrenza del mercato, dall’altro ha alimentato – attraverso l’intermediazione dei flussi di denaro pubblico – un ceto politico meridionale legato a doppio filo con i partiti nazionali (Dc, Psi, Pci. Pli, Pri), tecnicamente scadente e corrotto, che si è retto per decenni, ed in parte ancora si regge, sullo scambio risorse pubbliche – consenso con i partiti nazionali.

Casmez e AgenSud (Agenzia per il Sud), che ne prese il posto, erogarono tra il 1951 ed il 1992 circa 140 miliardi di euro, parte dei quali con finanziamenti a fondo perduto. Una somma certamente non enorme (si calcola una media di spesa annua di 3,2 miliardi di euro) e di gran lunga inferiore agli investimenti per opere pubbliche al Nord, ma significativa, che non è servita ad assicurare al Sud infrastrutture essenziali decenti. 65 anni dopo, sulla linea ferroviaria Catanzaro Lido-Reggio Calabria, i treni viaggiano a gasolio su un binario unico ed impiegano fino a 3 ore e 20’ per coprire un percorso di 143 km. L’intera linea Catanzaro-Taranto è in gran parte a binario unico. Irrisolto il nodo dei collegamenti ferroviari sulla dorsale Tirreno-Jonica, che i Borbone si accingevano a realizzare nel 1859, alla vigilia dell’invasione, mentre per andare da Napoli a Reggio Calabria in aereo bisogna passare da Roma o da Milano.

La Cassa per il Mezzogiorno, creatura dei cervelli dello Svimez, ha fatto aumentare di qualche punto percentuale il Pil delle regioni meridionali grazie alla circolazione di denaro pubblico, ma ha impedito lo sviluppo autopropulsivo del Mezzogiorno. Ciò corrisponde al progetto di questa lobby politico-industriale che concepisce il Sud come un mercato di sbocco dei prodotti del Nord.

Insieme alle grandi imprese del Nord, nei quasi 50 anni di Casmez, Agensud ed enti che ne hanno raccolto l’eredità (ultima Invitalia, controllata dal Ministero per lo Sviluppo economico), hanno finanziato un ceto famelico di burocrati, manager pubblici, economisti ed affaristi, che continua a rimpiangere gli anni d’oro della Cassa ed a premere per una ripresa dell’ “intervento straordinario nel Mezzogiorno”.

I rapporti annuali dello Svimez si situano in tale contesto e se il rapporto 2015 è stato anticipato in piena estate è perché il governo ha ripreso in mano il dossier Mezzogiorno per gestire in prima persona l’utilizzo dei finanziamenti dell’Ue, che le Regioni non sanno spendere.

I dati dello Svimez sono reali? Certo, il quadro dell’economia meridionale è negativo. Ma la fotografia dello Svimez non tiene conto di dati fondamentali, che altri Istituti e Centri di ricerca invece considerano. Un recente rapporto della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, che analizza l’attività ispettiva di Ministero del lavoro, Inps ed Inail (2014 e primi 6 mesi 2015) segnala che in Italia l’economia sommersa fattura quasi 42 miliardi all’anno, con 2 milioni di persone che lavorano in nero. Al Sud le percentuali sono ancora più alte. Secondo uno studio dell’Istat “In Campania ed in Calabria è irregolare quasi un lavoratore ogni cinque, mentre la media nazionale è uno ogni dieci” (IL MATTINO, 22.8.2015).

Ma l’economia sommersa consente la sopravvivenza del Sud, che se si dovesse stare ai soli indicatori ufficiali sarebbe già scomparso. Sulle cause delle sue dimensioni bisogna considerare l’intollerabile pressione fiscale sulle imprese, che al Sud sono già penalizzate da diseconomie come la mancanza di infrastrutture adeguate, il costo maggiore del credito e la presenza della criminalità organizzata.

Nell’annuale rapporto dello Svimez questi particolari non entrano, come non entra il problema della perdita dei centri decisionali ubicati al Sud, che è altrettanto fondamentale per uno sviluppo autopropulsivo. La Cassa per il Mezzogiorno aveva sede a Roma. L’Agenzia per il Turismo – oggi una delle pochissime voci in attivo del Sud – aveva sede all’Eur.

Con le anticipazioni del loro rapporto annuale (praticamente l’unica attività svolta dallo Svimez ) e diffuse in piena estate, gli eredi della Casmez hanno puntato alla gestione degli interventi governativi in vista per il Sud, a partire dai fondi Ue.

Dal 2010 alla presidenza dello Svimez siede Adriano Giannola. Nato a Fano (Pesaro), 72 anni fa, Giannola è uno degli esempi di quei “meridionalisti, spesso estranei anche per nascita al Sud, che sull’ “intervento straordinario nel Mezzogiorno” e gli incarichi in enti, banche, fondazioni, comitati “scientifici”, ha costruito la proprie fortune, continuando ad elevare alti lamenti sull’economia del Sud.

Docente di Economia bancaria all’Università Federico II, componente del cda del Banco di Napoli quando (1997) il Banco fu svenduto al prezzo ridicolo di 60 miliardi di vecchie lire alla cordata Bnl-Ina, poi presidente dell’Istituto Fondazione Banco di Napoli, componente del famigerato CTS (Comitato Tecnico Scientifico) della giunta regionale di Antonio Bassolino, i cui membri percepivano i gettoni di presenza senza neanche riunirsi, Giannola occupa un numero impressionante di poltrone. Componente del cda della Fondazione per il Sud (un’altra lobby pensata da imprese e Fondazioni del Nord, come la Compagnia di Sanpaolo), componente del cda della Banca Popolare di Puglia e Basilicata, presidente emerito della Banca del Sud, presidente della Fondazione di Comunità Centro Storico di Napoli, nel 2011 Giannola ha assunto anche la presidenza del Teatro Mercadante di Napoli, su nomina del sindaco Luigi De Magistris. Da solo, dimettendosi da qualcuno dei suo incarichi, darebbe un contributo all’occupazione nel Sud.

Nel 2016 la sua presidenza dello Svimez scade e così il lamento dell’Istituto risuona più alto in vista del possibile rinnovo. Ma le ricette dello Svimez sono già fallite una volta. Lo Svimez non è la soluzione, ma una parte dei problemi del Sud. (LN91/15).