(Lettera Napoletana) L’imposizione del nuovo regime unitario in Sicilia avvenne a carissimo prezzo per la Chiesa, una parte della quale, soprattutto nel basso clero, aveva appoggiato l’invasione garibaldina.
Alla spoliazione dei beni ecclesiastici, che furono venduti ai latifondisti ed alla borghesia liberale per favorire la nascita di un ceto di sostegno al nuovo Stato – su cui ha scritto ampiamente la storica Angela Pellicciari -, alle limitazioni della libertà religiosa, si aggiunse la durissima repressione dopo la “Rivolta del sette e mezzo” (16–22 Settembre 1866).
Le truppe italiane, guidate dal generale piemontese Raffaele Cadorna, che dichiarò lo stato di assedio e schierò 40mila soldati, bombardarono Palermo adottando gli stessi metodi repressiviusati nella parte continentale del Regno delle Due Sicilie per combattere i “briganti”.
Al centro di questi avvenimenti si trovò l’Arcivescovo di Palermo, Giovan Battista Naselli (1786-1870), della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri.
A lui è dedicata la tesi di laurea, ora pubblicata, dello studioso siciliano Nicolò Lentini (Giovan Battista Naselli Arcivescovo di Palermo fra Regno delle Due Sicilie e Unità d’Italia,Ex Libris, Palermo 2021, pp.213, € 15) .
“Il generale Cadorna – scrive Lentini – considerò il clero responsabile della sommossa [del “sette e mezzo”] e accusò l’anziano arcivescovo di Palermo, mons. Naselli. Preti e Vescovi furono ammoniti, minacciati e tratti in arresto dalla Polizia. (…) Cadorna fece arrestare mons. Benedetto d’Acquisto Arcivescovo di Monreale, fece occupare chiese e conventi, proibì che si suonassero le campane, fece sospendere le processioni e ai frati fu proibito di indossare l’abito religioso. Anche il Municipio ordinò la soppressione delle sacre immagini per le vie”.
La propaganda piemontese demonizzò gli insorti, che furono accusati perfino di cannibalismo ai danni di un carabiniere, che avrebbero bruciato vivo. La stessa accusa era stata mossa nel 1799 a Napoli nei confronti dei lazzari, i popolani anti-giacobini.
Mons. Naselli rispose alle accuse, false e strumentali, e spiegò le ragioni della rivolta in un’accorata difesa indirizzata al presidente del Consiglio dei ministri, che è pubblicata in appendice al libro.
Era il 25 Ottobre 1866. A quella data, il disincanto dell’Arcivescovo Naselli verso i liberali piemontesi doveva essere ormai totale. Ma sugli unitari e sul liberalismo, Mons. Naselli si era fatto delle illusioni, nonostante l’atteggiamento chiaro di Papa Pio IX e delle gerarchie ecclesiastiche.
Il 15 luglio 1860 – come riporta Lentini – a Garibaldi fu concesso il privilegio di assistere alla festa di Santa Rosalia seduto su un trono “che lo poneva più in alto dell’arcivescovo Naselli”. Il dittatore in nome di Vittorio Emanuele II, “veniva incensato con il capo coperto, il poncho e la camicia rossa, e ascoltava il Vangelo con la spada sguainata”.
In Sicilia, come a Napoli ed in altre province del Regno, il basso clero, numeroso ma povero e di istruzione limitata, era molto esposto alla propaganda massonica, che faceva leva sullo scontento, mentre l’orientamento giurisdizionalista del Governo borbonico, cominciato con il consigliere di Carlo di Borbone (poi ministro di Ferdinando IV) Bernardo Tanucci (1698-1783), limitava la possibilità della Chiesa di amministrare i propri beni e di godere delle rendite.
Ma la condizione della Chiesa nello Stato italiano appena costituito doveva essere di gran lunga peggiore. L’Arcivescovo di Palermo se ne rese conto molto presto. Il 10 agosto 1862 su proposta del deputato liberale siciliano Simone Corleo,eletto nel collegio di Calatafimi, il parlamento di Torino approvò una legge sull’ “eversione (confisca) dell’asse ecclesiastico siciliano”. Tutti i beni delle “corporazioni” (Ordini ed Istituti religiosi) e degli enti ecclesiastici della Sicilia venivano concessi in enfiteusi perpetua, 250mila ettari di terre della Chiesa furono messi all’asta. Il ricavato andò al nuovo Stato.
Nel 1866 (7 luglio) il decreto 3036 del nuovo Stato soppresse in tutta Italia le Congregazioni e gli Ordini religiosi che avessero “vita in comune” e “carattere ecclesiastico”. La legge 3848 del 15 Agosto 1867 dispose la confisca dei beni degli enti religiosi.
Così lo Stato liberale pagava i cospicui debiti contratti con la “Terza Guerra di indipendenza” del Piemonte, rovinosamente persa, e soprattutto colpiva il Cattolicesimo, nemico irriducibile della Rivoluzione. (LN164/22)
“Giovan Battista Naselli Arcivescovo di Palermo fra Regno delle Due Sicilie e Unità d’Italia” sarà presentato Martedi 12 luglio (ore 17:00 ) a Palermo, nell’Oratorio San Filippo Neri (Piazza Olivella) da Salvo Carreca e Massimo Costa. Sarà presente l’autore.