(Lettera Napoletana) Fedeltà immutata attraverso le generazioni, nobiltà acquisita servendo con onore nelle armi, attaccamento alla Tradizione cattolica. Ruota intorno a questi punti fermi la storia della famiglia Nunziante, ricostruita in un saggio appena pubblicato dallo studioso Gianandrea de Antonellis  (L’Alloro e la Quercia. La famiglia Nunziante e la sua fedeltà alla dinastia Borbone”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2016, pp. 284, € 31,00).

Il libro, con una prefazione di S.A.R Carlo di Borbone-Due Sicili, e l’introduzione del prof. Roberto de Mattei, ed arricchito da una documentazione tratta dall’archivio privato della famiglia, ripercorre le vicende dei Nunziante, dalla nascita di Vito Nunziante (1775-1836) a Campagna, allora Campagna d’Eboli (Salerno) dove si era trasferito il padre, Pasquale, nato a Cava de’ Tirreni.

In Vito Nunziante la vocazione per le armi prevale sulle intenzioni dei genitori di orientarlo verso il Seminario e lui riesce a conquistarsi i gradi di ufficiale nonostante l’estrazione non nobiliare. Servendo con le armi la legittimità, Vito Nunziante guadagnerà il titolo di marchese. Un esempio di mobilità sociale del Regno delle Due Sicilie, che conservava ancora parte dell’organizzazione della società tradizionale, pre-rivoluzione francese, divisa in ordini, ma con la possibilità di nobilitarsi.

Vito Nunziante si arruola nell’esercito e viene assegnato al 13° reggimento di fanteria di Linea “Lucania”. Qui si mette subito in luce e nel giro di due anni diventa ufficiale. È il 1797. Il Regno di Napoli sta per essere aggredito dalla Francia rivoluzionaria, che nello Stato Pontificio instaura la “Repubblica romana”. Re Ferdinando IV decide di difendere il Papa ed entra Roma alla testa delle truppe napoletane il 27 novembre 1798), ma i francesi concentrano le forze ed organizzano la controffensiva. Championnet riconquista Roma ed avanza verso Napoli, dove i giacobini prendono a tradimento la fortezza di Castel Sant’Elmo, che domina la città, e cannoneggiano alle spalle i lazzari, che si fanno massacrare per difendere la capitale.

Il giovane ufficiale Vito Nunziante, rientra a Campagna dalla famiglia e finge acquiescenza ai giacobini locali, ma raduna i soldati borbonici sbandati e forma il reggimento della Santa Croce. Poco dopo il reggimento si unisce all’Armata reale e cristiana del Cardinale Ruffo, che era sbarcato a Punta di Pezzo nelle Calabrie (8 febbraio 1799) e raccoglieva volontari per la straordinaria impresa della riconquista del Regno. Nunziante viene promosso colonnello. Il suo reggimento, ribattezzato Montefusco, ha l’onore di marciare in testa all’Armata della Santa Fede.

La fedeltà alla legittimità di Vito Nunziante ed alla dinastia dei Borbone subisce molte prove. I murattiani cercano di convincerlo a passare tra le loro fila, poi lo ricattano attraverso i suoi familiari, imprigionati e mandati in miseria. Ma è tutto inutile. Qualche anno dopo, diventato Generale e Governatore delle Calabrie, processerà, per ordine del Re, Murat, sbarcato in Calabria (8 ottobre 1815) ed arrestato dalla Gendarmeria Borbonica. Applicando il codice d’onore dei militari Nunziante tratta con riguardo il nemico, la sua concezione della guerra era ancora quella del Medioevo, una guerra limitata ai militari e circoscritta da regole, mentre i rivoluzionari francesi combattevano la nuova guerra ideologica senza limiti e senza quartiere.

Secondo diverse fonti Nunziante cerca di salvare la vita a Murat, del quale riconosceva il valore di soldato, poi gli assicura i conforti religiosi e gli riserva – scrive de Antonellis – un trattamento di “estrema cortesia” nonostante i murattiani fossero stati “estremamente vigliacchi nei confronti della sua famiglia, spingendo al suicidio il cognato”. A Vito Nunziante Fedinando IV concesse i titolo di marchese di San Ferdinando, villaggio calabrese che legherà la propria fortuna alla famiglia Nunziante, e l’Ordine di San Gennaro.

La grande storia della famiglia Nunziante continua nella generazione successiva con la figura di Ferdinando Nunziante (1801- 1852). Primo figlio di Vito Nunziante, Ferdinando intraprende la carriere militare. Reprime l’insurrezione dei liberali In Calabria (1847) ed è il protagonista della giornata del 15 maggio 1848 a Napoli, dove i liberali, rispondendo alla parola d’ordine insurrezionale lanciata in tutta Europa alzano le barricate in via Toledo. “Quella giornata – scrive lo storico Giacinto de’ Sivo – fu in Europa la prima opposizione trionfatrice della Rivoluzione”.

Ferdinando Nunziante, generale di brigata dell’Esercito delle Due Sicilie, attacca i rivoluzionari, protetti dalle barricate, dai balconi e dai palazzi adiacenti, poi si reca a Santa Lucia, il rione dove abitava e mobilita i luciani, per tradizione fedelissimi del Re, per liberare le strade dalle barricate, che i soldati non volevano rimuovere temendo di restare inermi sotto il tiro degli insorti. Ai deputati liberali, asserragliati a Palazzo Gravina, assicura protezione e li fa scortare fino alle loro abitazioni.

Un anno dopo, il 29 maggio 1849, sfiora la cattura di Garibaldi, che da Roma, ove era stata proclamata la Repubblica, tenta un’incursione contro il Regno, ad Arce. Ma l’avventuriero si sottrae allo scontro e si ritira verso Roma.

Viene un brivido – osserva de Antonellis – a cercare di immaginare come sarebbe cambiata la storia d’Italia, se quello scontro avesse effettivamente avuto luogo”.

Valore militare, fedeltà, onore. Ferdinando Nunziante è “l’eroe borbonico” al quale Giacinto de’ Sivo dedica il suo “Elogio di Ferdinando Nunziante”, discorso di commemorazione (1852) adesso ripubblicato dall’Editoriale Il Giglio (“I Napolitani al cospetto delle Nazioni civili Elogio di Ferdinando Nunziante, Napoli 2015, pp. 141, € 12,00).

Dopo la fine del Regno delle Due Sicilie, i Nunziante restano fedeli ai Borbone. Ancora, nella primavera del 1892, Vito Nunziante, terza generazione, si recò con la moglie più volte a Parigi, in visita a Francesco II. L’8 aprile 1892 il Re in esilio gli concesse la Gran Croce dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio.

Nel saggio, de Antonellis riporta la motivazione: “Sua Maestà il Re Francesco II vuol darle un chiaro attestato di Sua Reale soddisfazione pel suo non interrotto attaccamento alla Sua Reale Persona nel lungo periodo de’ politici rivolgimenti del 1860-61 sinora, confermando Ella così la condotta ed i servigi resi dal suo genitore Maresciallo Don Ferdinando e dal suo avo Tenente Generale Don Vito” (LN101/16).

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