(Lettera Napoletana) Il 22 maggio 1859, una domenica, intorno alle tredici e trenta, nella Reggia di Caserta, spirò S.M. il Re delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone.

Nell’anniversario dei 160 anni dalla morte di questo grande Re, forse il migliore interprete del genio di un popolo, l’Editoriale Il Giglio ripropone il saggio su Ferdinando II scritto dal prof. Gennaro De Crescenzo (Ferdinando II. La Patria delle Due Sicilie, Editoriale Il Giglio, Napoli, pp. 141, € 12).

«La morte di Ferdinando II era il segnale che liberali e massoni attendevano per attuare finalmente i loro piani di conquista, già elaborati fin nei dettagli. Neppure un anno dopo, l’11 maggio 1860, Garibaldi sbarcava a Marsala.

In quei 12 mesi, liberali e massoni ebbero un gran daffare: chiamare a raccolta i “fratelli d’Italia; far viaggiare in valigie diplomatiche le piastre turche che avrebbero finanziato la spedizione da Londra a Torino; “congedare” gli ufficiali dell’esercito piemontese per arruolarli come “volontari” dell’esercito rivoluzionario; corrompere generali e ministri pronti a tradire, i cui nomi erano da tempo nei taccuini degli agenti segreti; recapitare ordini e mappe a quei ministri e generali che già avevano tradito, giurando nelle logge; ingaggiare un falso generale dal passato losco e preparare la stampa a spacciarlo per eroe; acquistare armi e battelli a vapore; attendere l’arrivo di navigli e cannoni inglesi nel Tirreno; garantirsi che le potenze europee rimanessero inerti, perse in inconcludenti discussioni nelle corti e nei parlamenti.

Ma tutto questo poté avvenire soltanto dopo quel fatidico 22 maggio 1859.
Con Ferdinando II ancora in vita e nel pieno vigore dei suoi 49 anni, le speranze di riuscire ad invadere le Due Sicilie, sconfiggere il maggiore esercito e ridurre il regno più antico, popoloso, stabile e ricco della penisola a provincia piemontese erano davvero minime.

Questa ipotesi, realistica al punto da essere una certezza, trova conferma nella situazione del Regno prima dell’unificazione, che De Crescenzo descrive enumerando l’incredibile serie di primati che appartennero alle Due Sicilie in tutti i campi della cultura, della tecnica, delle scienze, dell’economia, dell’innovazione sociale e lavorativa, fino a farne la terza potenza industriale europea.

E trova ulteriore e definitiva conferma nella politica stessa del Re, improntata ad una difesa ostinata, coraggiosa ed intelligente dell’indipendenza e dell’identità della Patria. Nei suoi 29 anni di regno, Ferdinando II si oppose con determinazione alle mire di Gran Bretagna e Francia e rispose sempre con fermezza e dignità alle intimidazioni, talvolta attraverso schermaglie diplomatiche talaltra schierando le truppe.

Ferdinando II conosceva il progetto colonizzatore del Piemonte perché era stato proposto a lui per primo. Massoni e liberali infatti gli avevano già offerto la corona d’Italia, nella speranza di farne un proprio strumento con la prospettiva di un regno molto più grande e potente.

La sua risposta fu quella di un uomo onesto, che non prende con la forza e con l’inganno ciò che non gli appartiene, e di un saggio padre di famiglia, che non mette a repentaglio la vita dei figli per ottenere maggiori ricchezze. Per le stesse ragioni, Ferdinando II si schierò in difesa del Papato e dei suoi diritti.

Le conseguenze furono la calunnia, la leggenda nera, l’ingiuria di Re Bomba e del governo della “negazione di Dio. Fino all’attentato di Agesilao Milano, (8 Dicembre 1856) al quale De Crescenzo dedica la corposa appendice del libro ”Nuove ipotesi sulla morte di un Re.

Molti dubbi, infatti, sorsero intorno alla morte di Ferdinando II, causata da una misteriosa malattia contratta durante il viaggio verso Bari, nel gennaio 1859, dove la famiglia reale si recava ad accogliere la principessa Maria Sofia, sposa del primogenito Francesco. I sintomi si manifestarono subito dopo il soggiorno presso il Vescovo di Ariano Irpino, Mons. Michele Caputo, e si rivelarono refrattari a qualsiasi cura e tanto devastanti da fiaccare gravemente l’energico Re fin dai primi giorni e da condannarlo ad una straziante agonia durata cinque mesi.

Si parlò con insistenza di avvelenamento ma né documenti né prove corroborarono questa congettura, né accuse formali furono mosse contro alcuno, neppure contro quel Monsignor Caputo, Vescovo liberale, che i più consideravano colpevole.

Gennaro De Crescenzo però propone una diversa interpretazione, sostenuta dal parere scientifico di un illustre paleopatologo dell’Università di Pisa, il prof. Gino Fornaciari.

Dopo aver esaminato la sintomatologia e il decorso della malattia del Re come furono riportati dalle cronache del tempo, il professor Fornaciari è giunto alla conclusione che potrebbe essersi trattato di una setticemia con diverse complicanze, causata ad un ascesso saccato, conseguenza della ferita inferta a Ferdinando II nell’attentato di Agesilao Milano.

Il colpo di baionetta all’inguine avrebbe provocato al Sovrano un’infezione profonda che lenta e silente sarebbe cresciuta fino a diffondersi attraverso le ossa o il sangue all’intero organismo.

Assume dunque un rilievo particolare la figura di Agesilao Milano, frettolosamente liquidato come un isolato fanatico.. Le ricerche d’archivio, invece, provano i suoi legami con ambienti massonici e i verbali del processo, troppo rapido e superficiale, sollevano inquietanti sospetti su tutta la vicenda terminata con una precipitosa esecuzione capitale.

La conclusione di De Crescenzo è la seguente: l’attentato di Agesilao Milano non fallì, ebbe invece un esito differito e l’unità d’Italia, che era prevista per il 1857, slittò di tre anni». (LN136/19)

 

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