Nel 1849, costretto Pio IX a chiedere rifugio all’amico Regno delle Due Sicilie, si insedia nella “città eterna” la Repubblica Romana guidata da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini, celebrata, ovviamente, come l’avvento della libertà e del progresso in uno stato governato dal peggiore e più retrivo potere assoluto, quello della Chiesa. Come sempre, una storiografia strabica ha radicato una versione ideologica degli eventi, nascondendo completamente il vero scopo dei rivoluzionari che era cancellare il potere temporale del papato e, di conseguenza, la Chiesa stessa e il suo primato morale. Come sempre, la massoneria era il motore di quegli atti rivoluzionari, come dimostra la storica Angela Pellicciari in questo articolo pubblicato sulla rivista Il Timone (n. 88 del dicembre 2009). 

 

Avamposti dell’esercito massonico universale

Il potente gran maestro della massoneria italiana Adriano Lemmi, alla fine dell’Ottocento, riteneva che la scomparsa del potere temporale dei papi fosse il «più memorabile avvenimento della storia del mondo». 

Per capire i fatti, per capire cosa è successo durante la breve vita della Repubblica Romana del 1849, per capire soprattutto l’eco che di quei fatti ancora oggi si respira, non sarà inutile ricorrere a qualche breve citazione della stampa massonica di allora. Questa la prosa del gran maestro Mazzoni: «A Roma sta il gran nemico della luce. Lo attaccarlo ivi di fronte, direi quasi a corpo a corpo, è dover nostro». E questi erano gli auspici della Rivista della Massoneria nel 1871: «facciamo sì che dalla Eterna Città nostra la luce si diffonda per l’Universo, che il mondo ammiri, a canto del nero ed avvilito Gesuita, il libero gigante potere della Massoneria […] È in Italia, è a Roma, ove il nostro eterno avversario raccoglie le sue ultime forze. Noi siamo gli avamposti dell’esercito massonico universale».

La rivoluzione che scoppia, violentissima, a Roma, nel 1849, passata alla storia con nome di Repubblica Romana, di romano ha in effetti ben poco. Si va dal genovese Mazzini, al nizzardo Garibaldi, al genovese Avezzana, ministro della guerra, al friulano Dall’Ongaro, direttore del giornale ufficiale Monitore Romano, al napoletano Saliceti, redattore della Costituzione: l’elenco è lungo.

Come mai rivoluzionari di tutta Italia, ed anche stranieri, chiamano romana la repubblica che proclamano? Il perché lo spiega Giuseppe Mazzini, anima di quel tentativo totalitario, condotto, manco a dirlo, nel nome della libertà e della costituzione. A chi dice «Roma è dei Romani», scrive Mazzini, bisogna rispondere: «No; Roma non è dei Romani: Roma è dell’Italia». E la popolazione romana sbigottita dalla violenza rivoluzionaria? «I Romani che non lo intendono non sono degni del nome».

I romani non degni del nome sono, come ovvio, in primo luogo i cattolici: praticamente tutta la popolazione. La gnosi, nelle sue varie incarnazioni settarie, è convinta di saperla molto più lunga della Rivelazione e del Magistero che la interpreta. Mazzini, e con lui tutte le società segrete, si ripropongono di farla finita con la Chiesa cattolica: è un ostacolo al progresso incarnato dalle loro scientifiche convinzioni politiche. Il mito della Terza Roma, che prepotentemente si afferma durante l’Ottocento, persegue proprio questo idi obiettivo: mettere la parola fine alla Roma cristiana che ha oscurato (così si ritiene) la bellezza e la forza di quella pagana, riportando l’orologio della storia indietro di millecinquecento anni e tornando ai fasti del paganesimo. Terza Roma, per l’appunto.

Questa è l’IDEA – come si diceva allora scrivendola in maiuscolo ed idolatrando il pensiero di chi tanto ideale aveva concepito – che trionfa a Roma nel 1849. Ebbri di gioia per la fine del potere temporale, i rivoluzionari governano da ubriachi, ovvero da briganti. Chi lo dice? Non solo il papa Pio IX, costretto a fuggire a Gaeta dove è ospite di Ferdinando II di Borbone, ma le stesse fonti liberali dell’epoca che descrivono le gesta del potere rivoluzionario. Varrà la pena di citare qualche testimonianza, a cominciare, come ovvio, dal Papa.

Il 20 aprile 1849 da Gaeta, nell’allocuzione Quibus, quantisque malorum, Pio IX descrive in una lunga lettera cosa succede a Roma in nome della libertà e della costituzione. I liberali affermano di agire per il bene della Chiesa che vogliono purificata dall’incombenza del potere temporale? I liberali desiderano che la Chiesa diventi più aderente ai voleri di Cristo e, quindi, più povera, pura e libera? Analizziamo i fatti, suggerisce il Papa, e vediamo se sono davvero queste le intenzioni dei rivoluzionari. I fatti sono i seguenti: è impedita qualsiasi comunicazione del Papa con i vescovi, il clero, i fedeli; Roma si riempie di uomini (apostati, eretici, comunisti e socialisti, come si definiscono) provenienti da tutto il mondo, pieni di odio nei confronti della Chiesa; i liberali si impossessano di tutti i beni, redditi e possedimenti ecclesiastici; le chiese sono spogliate dei loro ornamenti; gli edifici religiosi dedicati ad altri usi; le monache maltrattate; i religiosi assaliti, imprigionati ed uccisi; i pastori separati dal proprio gregge ed incarcerati.
La conclusione che Pio IX trae dall’analisi delle imprese del potere rivoluzionario è inequivocabile. La mitica Repubblica Romana ha un unico, vero, obiettivo: il fine delle società segrete (che non esitano ad utilizzare a questo scopo lo stesso nome di Cristo) è la totale distruzione della Chiesa cattolica. Proprio come convintamente sostenuto dai gran maestri e dalla rivista della massoneria.

Gli agitatori di popolo calati a Roma nel 1849 agiscono da briganti non solo nei confronti della Chiesa e delle sue proprietà. Pio IX documenta come i liberali mettano in pericolo l’ordine e la prosperità dell’intera società civile: l’erario pubblico è dissipato e ridotto a nulla; il commercio interrotto e quasi inesistente; i privati derubati dei loro beni da coloro che si definiscono guide della popolazione; la libertà e la stessa vita di tutti i sudditi fedeli messa in pericolo.

Le fonti liberali contraddicono le affermazioni del Papa? Niente affatto. Luigi Carlo Farini, futuro presidente del Consiglio del Regno d’Italia, ne Lo stato romano dall’anno 1814 al 1850, scrive: «Fra gli inni di libertà, e gli augurii di fratellanza erano violati i domicilii, violate le proprietà; qual cittadino nella persona, qual era nella roba offeso, e le requisizioni dei metalli preziosi divenivano esca a ladronecci, e pretesto a rapinerie». Quanto all’eroe dei due mondi, il generale Garibaldi, nelle sue Memorie, così racconta cosa capita – e cosa fanno – i bravi garibaldini: «mossomi da Tivoli verso tramontana per gettarmi tra popolazioni energiche e suscitarne il patriottismo, non solo non mi fu possibile riunire un sol uomo, ma ogni notte […] disertavano coloro che mi avean seguito da Roma». Cosa facevano i disertori? «I gruppi di disertori si scioglievan sfrenati per le campagne e commettevano violenze d’ogni specie».

Stando così le cose – e le cose stanno così – viene spontaneo domandarsi come mai, caduti tanti miti, infrante tante ideologie, nessuno, ma proprio nessuno, abbia neppur lontanamente cominciato a mettere in discussione la leggenda creata intorno alla Repubblica Romana. Da destra come da sinistra tutti danno per scontato che l’esperimento ideato da Mazzini abbia costituito un effettivo passo in avanti verso la libertà, la costituzione, il progresso, la giustizia.

Basti ricordare che all’epoca della giunta guidata da Storace, solo pochi anni fa, la Regione Lazio spese parecchio denaro per diffondere capillarmente in tutte le scuole un opuscolo a fumetti dal titolo Mazzini e il Risorgimento. In una delle vignette comparivano tre personaggi, all’apparenza contadini (erano accompagnati da vanghe e cazzuole), contadini che però indossavano una bella coccarda tricolore. Il primo gridava: «Hanno confiscato le terre del clero»; il secondo ribatteva: «e ora le distribuiscono ai contadini». Il terzo tirava le conclusioni: «Viva la repubblica».

La verità è che, a destra come a sinistra, più o meno mascherata, più o meno avvertita, è sempre viva un’incrollabile ostilità, che in alcuni casi è più esatto definire odio, verso la Chiesa cattolica. In questo panorama, va detto perché rappresenta un’assoluta novità, il presidente Berlusconi ha pubblicamente suggerito a tutti la lettura del mio primo libro: Risorgimento da riscrivere. Cambierà qualcosa?