Periodicamente, ad ogni minimo cenno di una generica riflessione sull’attualità della legge sull’aborto, vivaci proteste si sollevano dal fronte femminista “in difesa della 194”, vero e proprio totem della cultura contemporanea.

Uno dei mantra immancabili in queste occasioni è che la legge avrebbe sconfitto l’aborto clandestino e avrebbe addirittura dimezzato il numero totale degli aborti legali.

Inutile precisare che neppure un argomento o un dato reale vengono citati a sostegno di questa tesi, per il semplice motivo che non ce ne sono e che si tratta del solito ritornello da mandare a memoria acriticamente.

La verità è che la legge 194 ha permesso l’omicidio, legale, assistito e gratuito (cioè pagato con soldi pubblici), di 5 milioni e mezzo di bambini, ai quali vanno aggiunti un numero imprecisato (non inferiore a 40mila) di aborti precocissimi dalle 400mila “pillole del giorno dopo” vendute in farmacia ogni anno;

ha attestato stabilmente il numero degli aborti legali intorno a 115.000 ogni anno, secondo i dati del Ministero della Salute; la pretesa diminuzione del 44% è riferibile esclusivamente al 1982, unico anno di picco, quando gli aborti furono 234.593;

ha lasciato invariata la situazione degli aborti clandestini, per quanto si sa, essendo sconosciuto il loro numero sia prima del 1978 che oggi, ma del quale, tuttavia, ci si può fare un’idea confrontando le cronache giudiziarie, che nel decennio 1955-65 contavano poco più di 150 casi di aborto illegale e che negli ultimi quarant’anni hanno contato centinaia di denunce contro medici e cliniche, in tutta Italia.

Come accadde negli anni ‘70, quando era in corso la campagna per propiziare la legalizzazione dell’aborto, anche ora i numeri vengono opportunamente manipolati, secondo una tecnica consolidata: un dato ripetuto da giornali e tv appare automaticamente “vero” e si conferma nel tempo perché il lettore medio non va certamente a controllarne la veridicità. La verifica, invece riserva sorprese spesso sconvolgenti.

L’articolo che proponiamo è di Antonio Socci, pubblicato sul quotidiano “Libero” il 6 gennaio 2007, e offre proprio la dimostrazione di come i dati usati dalla propaganda abortista furono artefatti in modo da rappresentare una realtà inesistente.

Oltre alla falsità dei contenuti di quella propaganda, va sottolineata che la tecnica utilizzata in Italia dai Radicali era identica a quella utilizzata in altri Paesi, a partire dagli USA, descritta dal dott. Nathanson nell’articolo al quale si rinvia.

 


 

Secondo Marco Pannella erano “un milione o un milione e mezzo” gli aborti clandestini che si facevano prima della legge 194 (tg5, venerdì sera). Con tante donne vittime. Per questo si è voluto l’aborto legale e assistito. Premesso che è un argomento per me insensato perché anche gli omicidi sono migliaia, ma nessuno propone di “risolvere” il problema legalizzando l’omicidio, bisogna capire, una volta per tutte, se quel dato è vero o falso. Intanto le cifre erano visibilmente sparate a caso. Per esempio secondo la proposta di legalizzazione fatta dal Psi al Senato nel 1971 erano ogni anno dai 2 ai 3 milioni gli aborti clandestini con circa 20 mila donne morte (nell’analogo progetto presentato alla Camera le morti lievitavano inspiegabilmente a 25 mila). Sui giornali le cifre oscillavano in modo abnorme: il “Corriere della sera” del 10 settembre 1976 per esempio dava da 1,5 a 3 milioni di aborti clandestini l’anno. E “Il Giorno” del 7 settembre 1972 da 3 a 4 milioni l’anno. In sostanza si davano i numeri (da 1,5 a 4 milioni), del tutto incontrollati e mai provati. Ma questa ossessiva campagna produsse la sensazione dell’emergenza nazionale e fece passare la legge 194.

Eppure bastava qualche piccolo accertamento per scoprire la verità. Secondo calcoli fatti da statistici ipotizzando 3 (o addirittura 4) milioni di aborti clandestini l’anno ne derivava un tasso medio di abortività (rapporto tra il numero delle IVG effettuate ogni 1000 donne in età fertile, tra i 15 e i 49 anni ndr) in base al quale – alla fine – “tutte le donne italiane avrebbero praticato nella loro vita almeno 8 aborti procurati clandestini” (Palmaro). Uno scenario ovviamente assurdo.

Che i “milioni di aborti clandestini” ogni anno fossero un argomento totalmente infondato, è provato, in modo indiscutibile, oggi, dai dati ufficiali sugli aborti legali in Italia, fermi attorno ai 130 mila l’anno (dal 1978 hanno raggiunto al massimo la cifra di 240 mila all’anno, ma attestandosi subito molto al di sotto dei 200 mila). Se questo è il numero delle donne che interrompono la gravidanza oggi che l’aborto è facile, legale e assistito, in qualunque ospedale, e addirittura propagandato, è ovvio che dovevano essere un numero molto inferiore a praticarlo quando era illegale, si rischiava il carcere, la faccia e la pelle, ed era difficile trovare le “mammane” che lo praticassero.

Ma passiamo al cuore del problema. L’aborto clandestino – dicevano – provocava ogni anno in Italia la morte di 25 mila donne. Per questo fu reso legale e assistito. Ma era vero quel dato? No, era del tutto assurdo. E ci voleva poco a capirlo.

Dall’Annuario Statistico del 1974 risulta infatti che le donne in età feconda (cioè dai 15 ai 45 anni) decedute nell’anno 1972, cioè prima della legge 194, furono in tutto 15.116. Già il fatto che le morti totali siano la metà delle presunte morti per aborto parla chiaro. Ma poi si scopre che di quelle 15 mila solo 409 risultavano morte di gravidanza o parto.

Naturalmente fra tutte le morti “per gravidanza o parto” quelle dovute ad aborto clandestino erano una piccola parte: qualche decina ogni anno. Una cifra certo triste (umanamente anche una singola morte è una tragedia), ma non una emergenza nazionale. Erano molto più rilevanti, per capirci, le altre cause di decesso delle donne come le morti per parto, per infortuni domestici, per incidenti o per omicidio.

Le cifre che abbiamo visto per l’anno 1972 risultano costanti. Infatti nel 1969 le donne morte in età fertile per complicazioni da gravidanza, parto e puerperio furono in totale 550 (Annuario statistico italiano, 1971); 481 nel 1970 (Annuario 1972); 460 nel 1971 (Annuario 1973); 370 nel 1973 (Annuario 1975). E ogni anno le vittime dell’aborto clandestino erano poche unità.

Conclusione: le cifre sparate dalla propaganda abortista (25 mila donne morte) che hanno portato alla legalizzazione dell’aborto erano del tutto infondate. Erano balle. Lo conferma il fatto che dall’entrata in vigore della legge 194 la mortalità delle donne in età feconda, non ha avuto alcuna significativa diminuzione statistica improvvisa, quindi la 194 non ha modificato alcunché.

“Ciononostante”, scriveva Roberto Algranati su Liberal “anche in epoca recente, l’onorevole Pannella ha riaffermato il vecchio luogo comune secondo il quale la legge sull’aborto avrebbe salvato la vita a centinaia di migliaia di donne”.

In realtà non ha portato neanche alla sparizione dell’aborto clandestino. Infatti sull’Espresso del 10 novembre 2005, Chiara Valentini scrive che la relazione del ministro della Salute nell’anno 2005 stima circa in 20 mila gli aborti clandestini. E la stessa cifra è ribadita dal demografo Massimo Livi Bacci. Dunque la 194 è clamorosamente fallita: non ha estirpato neanche la piaga della clandestinità. E lo stesso fenomeno è accaduto in Gran Bretagna, nei Paesi Scandinavi, in Germania, Giappone, Russia Polonia, Romania e via dicendo.

Ma se la 194 non ha cancellato l’aborto clandestino – a 30 anni dalla sua approvazione – cos’ha prodotto? Rendere legale, facile, assistito e gratuito l’aborto può solo banalizzarlo e moltiplicarlo. E così è stato. Dai 20-30 mila clandestini ai 150-200 mila legali.

Due ricercatori dell’Università di Trento, Erminio Guis e Donatella Cavanna (“Maternità negata”, Milano 1988) hanno scoperto che il 32 per cento delle donne che hanno abortito non l’avrebbe fatto se non ci fosse stata la legge 194 a permetterlo. Quindi migliaia di aborti che – in mancanza della 194 – sarebbero stati evitati. “Risultati del tutto analoghi” aggiunge Mario Palmaro “sono stati condotti in Francia. Il significato di questi dati è evidente: la legge incide in modo decisivo sui comportamenti”.

È vero che c’è stata una relativa diminuzione degli aborti legali dal 1978 ad oggi, ma intanto bisogna considerare la diffusione di abortivi chimici (con la “pillola del giorno dopo” di cui vengono vendute circa 350.000 confezioni all’anno in farmacia; a questo dato vanno aggiunti gli aborti precoci causati da mezzi falsamente anticoncezionali, in realtà abortivi, come la spirale ndr).

In secondo luogo il fenomeno è tutto italiano ed è dovuto a una forte sensibilizzazione sui temi della vita fatta dalla Chiesa italiana (basti dire che i Centri di aiuto alla vita, anche concretamente, hanno salvato circa 80 mila bambini e altrettante mamme). Infatti negli altri Paesi europei, come Francia e Inghilterra, dove la presenza cattolica (e la cultura della vita) è irrilevante, gli aborti legali non sono in discesa, ma semmai in salita.

Infine 30 anni fa si costruì un’assordante campagna sulle “morti per aborto clandestino”, ma perché oggi non si parla delle morti per aborto praticato legalmente e assistito? Perché tanto silenzio sulle morti che hanno fatto clamore in America in relazione alla pillola abortiva (la Ru486 ndr) (New York Times, 23.11.2005)? La sorte delle donne non interessa più?

La dottoressa Kustermann, dall’insospettabile pulpito di Micromega (7/05), fa sapere che “con la Ru486 c’è anche il dolore fisico, che almeno con l’aborto chirurgico non c’è”. Poi ha svelato quanto sia devastante anche l’aborto chirurgico legale che presenta “un rischio del 4 per cento di complicazioni più o meno gravi, che vanno dalla necessità di ripetere l’intervento, all’emorragia, alla perforazione dell’utero, all’infezione dell’utero che si manifesta nei giorni seguenti con febbre alta e dolori intensi. Quindi… permangono dei rischi che possono determinare anche conseguenze di lungo periodo per la donna: per esempio un’infezione grave o una perforazione uterina” che “può determinare una sterilità permanente”.

La Kustermann aggiunge che “non c’è quasi nessun aborto che sia per sempre indolore”. Il dolore psichico è evidente in tante donne che hanno vissuto questo trauma. Ma, avverte la Kustermann, anche per le donne che “riescono a superare l’evento indenni”, dal punto di vista psicologico, “l’aborto può essere un fattore di rischio nel momento in cui intervengono depressioni legate al desiderio di maternità irrealizzato nel corso della vita”.

Insomma, aver presentato l’aborto come una conquista civile ha messo gravemente in ombra le conseguenze cui va incontro la donna. E ha spazzato via 4 milioni e 500 mila bambini. Un orrore.

 

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