Se l’embrione sia un “chi” o un “cosa” è la domanda fondamentale intorno alla quale ruota l’intero discorso sull’aborto e sul diritto di tutela della vita sin dal concepimento.

La scienza non ha mai espresso dubbi sull’identità dell’embrione, dotato di un codice genetico individuale, unico e irripetibile, che si forma nelle dodici ore successive al concepimento.

Sin dal primo istante, ogni pur minima variazione nell’embrione non è altro che una fase fisiologica dello sviluppo, finalizzata all’espressione del suo patrimonio genetico e alla crescita dell’organismo, verso l’autonomia. Nell’arco di 4-5 giorni, l’embrione si annida definitivamente nell’utero per procedere verso fasi sempre più avanzate dello sviluppo, in perfetta ed ininterrotta continuità.

In nessun momento dello sviluppo, l’embrione contenuto nell’utero materno può essere considerato un anonimo “ammasso di cellule”: è un essere umano a pieno titolo, la cui esistenza non può essere sottoposta alla volontà di altri.

I periodici tentativi di affermare una realtà diversa sul piano biologico sono sempre stati rigettati dalla comunità scientifica, pur senza con questo ammettere alcuna implicazione di carattere etico.

Così è avvenuto, per esempio, con il tentativo di accreditare l’esistenza di un “pre-embrione”, fantomatico “anello mancante” collocato tra il momento della formazione del codice genetico e la differenziazione dei tessuti (che avviene al 14° giorno dal concepimento).

Tentativi provenienti da ambienti ideologizzati che avevano il solo scopo di differire l’inizio della vita degli esseri umani, di separare concepimento e concepito.

Per conoscere la posizione della scienza sull’argomento, abbiamo posto la domanda iniziale, se l’embrione sia oggetto o soggetto, al prof. Luigi Cuccurullo, docente di Anatomia patologica presso la Seconda Università di Napoli:

«Per definire dal punto di vista strettamente biologico chi o cosa sia un embrione, bisogna partire da un presupposto essenziale: un organismo vivente, uomo o animale che sia, è qualcosa che va ben oltre la somma degli organi e delle cellule che lo compongono, per la reciproca influenza che le varie parti hanno l’una sull’altra.

Pensare che un organismo possa essere ridotto ai suoi singoli geni o alle molecole è inesatto ed è una forma di riduzionismo scientifico. Così, indicare l’embrione come un semplice gruppetto di cellule annidato nell’utero significa mistificare la realtà: sin dall’inizio, l’embrione è un organismo e va considerato nel suo insieme.

Altro elemento fondamentale per definire l’embrione è la continuità del suo sviluppo, che avviene con progressione geometrica, senza salti di qualità da uno stadio all’altro. È per questo che il cosiddetto pre-embrione è un artificio e in biologia non esiste.

Terzo punto cardine che indica l’identità dell’embrione è il coordinamento del suo sviluppo, che segue la programmazione insita nei geni: in nessun momento si verifica una crescita disordinata o squilibrata, come avviene nei tumori.

Infine, unicità e irripetibilità dell’embrione possono sembrare concetti filosofici e invece sono strettamente biologici. Infatti, il patrimonio genetico, che ogni embrione riceve dal padre e dalla madre, è completamente diverso sia dall’uno che dall’altro e, per di più, è condizionato da tali e tanti fattori ambientali che addirittura i gemelli monozigoti differiscono sia sul piano somatico che su quello caratteriale.

In base a queste osservazioni, che non possono essere tralasciate in alcun modo, bisogna concludere che l’embrione assolutamente non può essere considerato una cosa, come vuole un riduzionismo che non ha senso, ma deve essere riconosciuto come persona.»