Fate conto che uno tsunami si sia abbattuto sulle coste italiane e abbia spazzato via quasi l’intera popolazione del Lazio: 5 milioni e mezzo di persone scomparse.

Se preferite un’immagine diversa, pensate agli abitanti di quattro delle maggiori città italiane – Milano, Bologna, Roma e Napoli – vittime di attentati terroristici devastanti.

Se queste immani tragedie fossero avvenute nelle strade delle nostre città, sdegno e mobilitazione avrebbero scosso la penisola, aiuti sarebbero arrivati da tutto il mondo, si sarebbero cercati i responsabili per inchiodarli alle proprie colpe, si sarebbe gridato “Mai più!”.

Ebbene, questa immane tragedia è avvenuta davvero ma nessuno si è sdegnato, nessuno ha cercato i colpevoli, nessuno ha gridato “Mai più!” perché tutto è accaduto in asettiche sale operatorie, coperto da teli sterili e nascosto nei sacchetti per i rifiuti speciali.

Cinque milioni e mezzo, tanti sono i bambini che la legge 194, che nel 1978 ha legalizzato l’aborto in Italia, ha ucciso in trentasette anni.

I primi tra quei piccolini oggi sarebbero uomini e donne adulti.

Ognuno di loro avrebbe avuto un proprio percorso di vita, intrecciato con quello dei bambini che invece sono nati ma che non hanno potuto incontrarli. Intrecciato magari con il nostro percorso.

Quante gioie e dolori, sorprese, fatiche, sorrisi, lacrime, pensieri, parole, momenti d’amore e di rabbia avrebbero segnato le loro vite e invece sono mancati nelle vite dei loro genitori, dei loro fratelli. Chissà quante volte la loro presenza sarebbe stata importante per gli altri, così come lo è stata, certamente, la loro assenza. Molti oggi sarebbero genitori a loro volta.

Cinque milioni e mezzo di possibili mondi futuri cancellati, che non si realizzeranno mai. Per sempre.

 


 

L’aborto in cifre 

Fonte: Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/78) [dati preliminari 2013  –  dati definitivi 2012], presentata al Parlamento nella seduta del 15 ottobre 2014.

 

– Aborti legali eseguiti dal 1978 al 2013:  5˙541˙419

– Bambini abortiti nel 2012: 107˙192  (48˙468 al Nord / 22˙912 al Centro / 25˙749 nel Sud / 10˙063 nelle Isole)

68˙734 di madri italiane  +  35˙388 di madri straniere (34%), in prevalenza dell’Europa dell’Est.

– Bambini nati vivi (2012):   527˙770

– Rapporto di abortività (bambini abortiti/1000 nati): 203,1 vale a dire più di un bambino abortito ogni 5 nati

– Tasso di abortività (aborti eseguiti/1000 donne in età fertile): 7,9

– Numero stimato di aborti clandestini (2012): 12˙000 – 15˙000 + 3˙000 – 5˙000 delle sole donne straniere

– Confezioni di “Pillola del giorno dopo” vendute nel 2012: 364˙000  pari a non meno di 36˙400 aborti precoci

– Totale generale aborti (2012) =  tra 155˙592  234˙392

 

Con i soliti toni trionfalistici, la Relazione del Ministro della sanità afferma che nel 2012 ci sarebbe stato un calo del 3,8% degli aborti rispetto al 2011, trend proseguito anche nel 2013 nonostante i dati in possesso siano provvisori.

Così appare se si confrontano i numeri assoluti degli aborti, ma se li si mette in relazione al numero delle donne in età fertile, che nel 2012 è diminuito di circa mezzo milione, si scopre che gli aborti non solo non sono diminuiti ma viceversa sono aumentati di 165 unità rispetto alle previsioni. In sostanza, il crollo della natalità negli ultimi 30 anni ha fatto diminuire il numero delle donne in età fertile e di conseguenza il numero delle gravidanze, desiderate o no.  Inoltre,  è aumentato il tasso di abortività nelle fasce di età più a rischio:

età                                2011                     2012

25-29 anni                     13,2‰                 13,3‰        +0,1

30-34 anni                     12‰                    12,2‰        +0,2

35-39 anni                     9,6‰                   9,8‰          +0,2

Questo vuol dire che, ogni mille donne trentenni, 2 in più rispetto allo scorso anno non hanno portato avanti la gravidanza.

Anche per le ragazze minorenni, la Relazione segnala una diminuzione degli aborti e del tasso di abortività del (6,3‰), ma non fa alcun cenno alla “pillola del giorno dopo”.

Considerato “contraccettivo itercettivo” o “di emergenza”, la pillola del giorno dopo e ancor più quella dei “5 giorni dopo” hanno anche un effetto abortivo precoce, impedendo di fatto l’annidamento dell’embrione nell’utero. Il loro uso è molto frequente nella fascia di età 15-20 anni e nel 2012 ne sono state vendute 364˙000 confezioni (fonte: Hra Farma Italia, leader nel settore).

Anche ipotizzando soltanto il 10% di effetto abortivo (ma i dati scientifici parlano del 15-20%) i conti del ministero non tornano, perché bisogna aggiungere ben 36˙400 aborti in più al totale.

Le minorenni che accedono all’interruzione volontaria della gravidanza, lo fanno con il permesso dei genitori nel 73% dei casi, mentre il restante 25% ricorre al Tribunale dei Minori.

 

L’identikit dalla donna che abortisce delineato dalla Relazione ci restituisce un’immagine diversa da quella che la propaganda dei mass-media ha creato, mai esistita in realtà.

Cominciamo col dire che nel 97% dei casi si tratta di donne adulte, la metà delle quali è coniugata ed ha un titolo di studio superiore (diploma o laurea).

Il 44% ha un lavoro ed il 24% è casalinga, anche se le percentuali differiscono notevolmente tra Nord e Sud. Decisamente omogenee invece le percentuali delle disoccupate, che non raggiungono il 19%, e di studentesse e in cerca di prima occupazione, meno del 12%.

La difficoltà socio-economica, quindi, non sembrerebbe essere la principale causa della scelta di abortire, anche comparando i dati del periodo 2000-2012, cioè prima e durante l’attuale crisi.

Una qualche influenza del fattore economico, come difficoltà a sostenere le spese per un bambino o come rischio di licenziamento, può soltanto essere ipotizzata e senza alcun riscontro, anche perché la L. 194, che prevede un colloquio dello staff del consultorio con la donna atto a far emergere i motivi della scelta, non richiede che essi vengano annotati, neppure in forma anonima per fini statistici. Insomma, dal 1978 negli ospedali italiani ogni anno sono stati abortiti in media 120mila bambini e nessuno sa perché, tranne le loro madri.

Altro dato di grandissimo interesse è quello degli aborti ripetuti: il 27% circa delle donne ha già volontariamente interrotto altre gravidanze precedentemente, confermando che l’aborto “legale, gratuito e garantito” dallo Stato diviene una delle tante opzioni praticabili indifferentemente, quando la propaganda ideologica lo rappresenta come un “diritto indice di progresso” e quando non è contrastato da azioni di prevenzione, prima di tutto sul piano culturale.

La maggioranza degli aborti viene eseguito entro la 10a settimana di gestazione (81%), dato che smentisce un refrain che da qualche anno è divenuto insistente a proposito dell’ “obiezione di coscienza” dei medici, che rappresenterebbe un ostacolo al godimento del “diritto di abortire”.

Sono obiettori di coscienza il 70% dei ginecologi, il 47,5% degli anestesisti e il 45% del personale paramedico. Ciò non impedisce che le strutture dove si praticano IVG siano 403 su 630, per lo più ospedali pubblici (92%) o cliniche convenzionate, e in alcune regioni risultano più numerose delle strutture dove si fanno nascere i bambini.

I tempi di attesa per l’intervento sono di 2-3 settimane nell’84% dei casi, determinando un carico di lavoro settimanale per ciascun medico non obiettore pari a 1,4 aborti a settimana, per 44 settimane lavorative.

La quasi totalità degli aborti (90%) viene praticata in day-hospital, il 5% con ricovero di un giorno, evidentemente aggirando la norma che prevede che gli aborti chimici possano essere praticati solo con ricovero. Infatti, le interruzioni con RU-486 ammontano all’8,5% del totale, mentre il restante 77,6% utilizza l’isterosuzione o il karman (metodiche simili) e l’11,7% il raschiamento.

Gli aborti che superano il limite previsto dalla legge dei novanta giorni, rientrando nella categoria di aborti “terapeutici”, sono 3.917 (+ 128 rispetto al 2011; 3,8%); 910 sono stati praticati oltre la 21 settimana di gravidanza (5 mesi e mezzo).

In genere si tratta di bambini con malformazioni, il cui aborto sarebbe una forma di “terapia preventiva” per le possibili difficoltà, prevalentemente psicologiche, a cui andrebbe incontro la madre dopo la loro nascita. Molto più rari i casi di aborto per cure mediche incompatibili con la gravidanza da somministrare alla madre stessa, per malattie come il cancro intervenute a gravidanza iniziata.

L’alto numero di questi aborti e il loro incremento costante sono la spia di una mentalità eugenetica che, mascherata dietro l’ipocrita attenzione alla “qualità della vita” del bambino, pretende un figlio di alta qualità, trasformando l’essere umano in prodotto.

Aleggia, infine, nella Relazione del Ministro, la grande incognita degli aborti clandestini, che la 194 non ha affatto cancellato, nonostante il solito ritornello autoreferenziale.

In quanto clandestini, non è dato di sapere quanti siano veramente questi aborti. I dati forniti stimano siano 12-15mila quelli delle italiane a cui si aggiungono altri 3-5mila delle straniere. Totale: 15-20mila aborti in più, da sommare nella mortifera contabilità del progresso.

Un ultimo dato numerico va sottolineato, anche se nella Relazione non compare: quanto costa in termini economici tutto questo?

Di preciso non si sa, perché costi sanitari e prestazionali sono diversi da regione a regione, e perché, per quanto si cerchi, non si riesce a trovare da nessuna parte un consuntivo ufficiale del Ministero della Sanità.

Tariffari di qualche anno fa, definiti dal Diagnosis-relater group, sistema per fissare i costi di partenza delle singole prestazioni adottato da ogni regione italiana, indicavano un’oscillazione tra 900 e 1900 euro per le diverse tipologie di aborto, a cui andrebbero poi aggiunti tutti gli specifici costi per attrezzature, materiali, smaltimento, analisi laboratoriali ecc. ecc. Partendo da questa base, si arriva ad una spesa minima intorno ai 200 milioni di euro annui, ma c’è chi ritiene possibile la cifra di 700 milioni. 

Qualunque essa sia, la spesa ricade completamente sui conti pubblici: per l’aborto e gli esami connessi non si paga il ticket.

In tempi di tagli, il governo Renzi ha deciso di diminuire la spesa sanitaria di 10 miliardi di euro in cinque anni (notizia del 3 agosto 2015) e sta valutando una stretta anche su esami ed ecografie durante la gravidanza, che diventeranno in parte a pagamento.

Insomma, per far nascere un figlio si paga, per abortirlo no.