La RU 486 è una pillola abortiva, la cosiddetta “pillola del mese dopo”, che consentirebbe l’aborto “leggero”. Comunque si cerchi di indorare questa pillola, si tratta di uno strumento di morte, che il grande genetista Jérome Lejeune definì “pesticida umano”.

 

Che cos’ è la RU-486

RU-486 è il nome commerciale di un farmaco steroideo a base di mifepristone, un inibitore del progesterone che, assunto precocemente, è in grado di interrompere una gravidanza nell’85% circa dei casi. Viene associato all’assunzione, dopo 48 ore, di prostaglandine in pillole o in candelette vaginali, che favoriscono l’espulsione dell’embrione, raggiungendo così il 95% di effetto abortivo.

La sua efficacia diminuisce dopo il 49° giorno e solitamente non viene utilizzato oltre il 63° giorno, anche se resta efficace per tutto il primo trimestre di gravidanza.

L’espulsione dell’embrione (che alla settima settimana misura tra 1 e 2 cm, ha braccia e gambe allungate) avviene inducendo contrazioni uterine, con dolori di varia entità.  Nel 66-70% dei casi, il bambino, con la placenta, il sacco amniotico e il liquido, viene espulso nelle ore all’assunzione della pillola; nel 90% dei casi entro le 24 ore; oltre le 24 ore nel 98%. Le perdite ematiche successive durano circa una settimana.

 

La storia

La pillola abortiva è nata in Francia nel 1988, ad opera del ricercatore Emile Emerietenne Baulieu, nei laboratori della Roussel-Uclaf (da cui la sigla RU-486), azienda il cui maggiore azionista era il gigante farmaceutico tedesco Hoechst, che negli anni  ’40 produceva lo Zyclon B, il gas usato nei campi di sterminio.

Nel 2005 la molecola base, il mifepristone, è stato aggiunto alla lista dei farmaci dall’Organizzazione mondiale della sanità.

La pillola abortiva si è diffusa rapidamente in Svizzera, Inghilterra, Svezia, Spagna, Olanda, Germania, Austria, Danimarca, Finlandia e Belgio, quindi negli Stati Uniti, Israele, India, Cina, Norvegia, Lussemburgo e Grecia.

L’azienda francese Exelgyn ha registrato un giro d’affari di oltre 14 milioni di euro per la vendita in Europa della Ru486, con il nome di Mifégyne (dati 2009).

La Danco Laboratoires Llc, di New York, ha incassato 108,5 milioni di dollari (circa 78 milioni di euro) tra il 2000 e il 2005, vendendo  400mila dosi di Mifeprex.

In Italia è stata introdotta nel 2005 in via sperimentale all’Ospedale Sant’Anna di Torino, sotto la guida del ginecologo radicale Silvio Viale, e poi in vari ospedali. Le sperimentazioni hanno subito alterne vicende, tra sospensioni e riprese e, in attesa del definitivo accesso al farmaco in Italia, sono proseguite aggirando i divieti con l’acquisto all’estero a nome del singolo paziente, procedimento legale per i medicinali approvati dall’Ente europeo per il controllo sui farmaci.

L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha dato parere favorevole alla commercializzazione il 30 luglio 2009; la RU-486 è entrata definitivamente nella farmacopea nazionale il 10 dicembre 2009.

La legge prevede che possa essere somministrata fino alla settima settimana di gravidanza, con ricovero ospedaliero obbligatorio.

 

I presunti “vantaggi”

L’aborto chimico non richiede l’esistenza di una struttura ospedaliera di supporto. Nella maggior parte dei Paesi che commercializzano la RU-486, che può essere acquistata anche online, non è previsto ricovero ospedaliero. L’abbattimento dei costi sanitari rappresenta certamente un vantaggio, non per le donne, si intende, e ancor meno per i bambini, ma per chi gestisce la sanità, pubblica o assicurativa, sì.

«Non sorprende il concreto interesse che molte Fondazioni ed Organismi internazionali, attivi nel campo della pianificazione familiare, dimostrano nei confronti della RU 486. Infatti la scarsa presenza di personale sanitario nel territorio dei paesi meno sviluppati, rende difficile l’aborto come metodica di controllo delle nascite. Un abortivo farmacologico efficace sarebbe la soluzione ideale: l’aborto sarebbe praticabile in assenza del medico, potrebbe essere presentato come la prevenzione di una gravidanza, ecc. Pensiamo che sia questa la ragione per cui, sin dall’inizio, la Fondazione Rockfeller, la Fondazione Ford e diversi organismi delle Nazioni Unite investono uomini e denaro nella ricerca, nella sperimentazione e nella distribuzione del mifepristone» [Victor Tambone, Valutazione morale dell’uso abortivo e clinico della RU 486, Società Editrice Universo, Roma 1999].

In Italia, l’introduzione della RU-486 nel servizio sanitario è risultata meno conveniente da un punto di vista economico, data l’obbligatorietà del ricovero, praticata ovunque in forma di day-hospital. In ogni caso, la spesa di circa 850 euro a trattamento ha comportato un certo risparmio rispetto alla procedura chirurgica, i cui costi, diversi da regione a regione, partono da 950 euro.

Altro elemento “vantaggioso” molto pubblicizzato è che l’RU-486 procurerebbe “l’aborto senza dolore”, liberando così le donne dal presunto aspetto “punitivo” insito nell’invasiva pratica chirurgica.

È una menzogna: dal momento che il meccanismo indotto è quello del parto, di conseguenza si avverte dolore, la cui entità varia da soggetto a soggetto. È per questo che insieme alle prostraglandine si somministrano antidolorifici, ed è per questo stesso motivo nei Paesi in cui l’uso è consolidato da anni, l’RU-486 viene utilizzata in percentuali tra il 20 e il 40%.

Un altro argomento in sostegno della pillola abortiva sarebbe il minore impatto sulla salute femminile rispetto all’aborto chirurgico, soprattutto perché evita il ricorso all’anestesia.

Anche quest’affermazione è smentita dalla ricerca medica, i cui risultati hanno indotto diversi Paesi a compiere passi indietro sulla diffusione della RU 486. Ad esempio in Cina, dove era in commercio dal 1992 come prodotto da banco a supporto della feroce “politica del figlio unico”, nel 2001 è stata ritirata dal commercio ed ora  è utilizzata solo con rigide procedure ospedaliere.

 

I rischi fisici

Nel mondo sono stati ufficialmente riconosciuti 39 decessi dovuti all’uso del farmaco.

L’ultima morte per aborto chimico è avvenuta all’ospedale Martini di Torino l’11 aprile 2014.

La donna, una trentasettenne italiana già madre di un bambino di 4 anni, è deceduta dopo due crisi cardiache successive all’assunzione del cocktail di farmaci che prevede, oltre il mifepristone e le prostaglandine, anche la somministrazione di antidolorifici e antiemorragici, che possono avere conseguenze gravi  sulla circolazione e il cuore.

Dal 2000, quando il mifepristrone fu introdotto negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration (agenzia federale per il controllo sui farmaci) ha ripetutamente messo in guardia sui rischi dell’aborto chimico ed ha pubblicato vari rapporti che documentano i numerosi casi di gravi effetti secondari della pillola abortiva sulle donne.

Esiste una vasta ed esauriente letteratura medica sullo shock settico da mifepristone, il quale svolge la sua azione antagonista sia del progesterone sia degli ormoni glucocorticoidi della corteccia surrenale, abbattendo le difese immunitarie.

La morte è causata dall’infezione fulminea e letale da batterio Clostridium sordellii, innescata dalla presenza in utero dei tessuti necrotizzati dell’embrione, della placenta e della decidua (The Lancet,  Infectious Diseases 2006; 6:11).

Si ipotizza che l’azione sulla corteccia surrenale sia anche la causa dei numerosi casi di complicanze, tra cui emorragie, svenimenti, nausea, vomito, crampi addominali, fenomeni ipertensivi.

Secondo i dati del ministero della Salute italiano (2013) riferiti al 2010 e 2011,su 40mila aborti eseguiti con la RU-486, le emorragie si sono verificate nell’1,75% dei trattamenti, mentre i casi di aborto incompleto, con conseguente ricorso alla chirurgia, e le infezioni assommano al 7,14%.

Infine, per quel 5% circa di casi in cui la gravidanza prosegue dopo la somministrazione della RU 486, la probabilità di malformazioni fetali è altissima.

 

Gli aspetti psicologici

Sul piano psicologico, per la madre l’aborto chimico risulta essere perfino più devastante di quello chirurgico, poiché viene a mancare l’intervento del medico che fa da “filtro” tra la scelta di abortire e l’esecuzione. Nell’aborto chimico, la madre è artefice diretta dell’atto che provocherà la morte del proprio bambino. Ciò comporta uno stress e un senso di colpa ancora più gravi che nell’aborto chirurgico, favorendo l’insorgere della sindrome post-abortiva, che dà luogo a scompensi psicosomatici anche gravi.

Il periodo di attesa che intercorre tra l’assunzione della RU 486 e l’espulsione dell’embrione, che si protrae per alcuni giorni, è vissuto dalla madre in chiara consapevolezza di ciò che sta avvenendo nel proprio corpo, di avere in grembo il figlio che sta morendo. Sola di fronte a questa terribile realtà, la donna continua la propria quotidianità, con tutte le ansie e i timori sull’esito della somministrazione, sugli eventuali danni alla propria salute. Infine, il momento dell’espulsione dell’embrione è spesso drammatico, a causa del dolore fisico e, peggio, del fatto che ciò che viene espulso è riconoscibile. Quest’immagine così fortemente drammatica ricorre spesso nei ricordi delle donne che hanno raccontato la propria esperienza con la RU-486.

 

Ciò che non si dice

Dietro la RU-486 non c’è soltanto l’orrore della morte di un essere umano, c’è un ulteriore passo in avanti nella cancellazione dell’umano.

L’aborto, l’omicidio di un essere indifeso, diviene semplice come “bere un bicchier d’acqua”.

Una piccola pillola da mandar giù e il gioco è fatto: nulla resta che dia la dimensione della gravità di quel gesto.

Nonostante la decisione di abortire sia una scelta volontaria e nonostante le facilitazioni che la legge 194 predispone perché questa decisione non subisca interferenze, la straordinarietà della procedura dell’aborto chirurgico – recarsi in ospedale, entrare in sala operatoria, l’anestesia, risvegliarsi in una stanza estranea, essere circondata dal personale medico – in qualche modo restituisce, forse addirittura acuisce, la percezione che si sta compiendo un atto non ordinario, non banale.

Se l’approvazione sociale può in qualche modo sfumare la gravità della scelta di abortire (la consapevolezza e il senso di colpa arrivano dopo, sempre!), la “medicalizzazione” dell’evento lascia filtrare la sensazione di quanto esso sia fuori dalla normalità.

La pillola abortiva ha come “effetto collaterale” rendere banale l’aborto, semplice e ordinario come prendere una pillola. L’eliminazione di un figlio è parificata alla eliminazione di un qualsiasi altro “disturbo”, un mal di testa, un reumatismo. Una cosa che si fa da sola, forse domani addirittura si farà a casa propria. La solitudine della donna di fronte alla propria scelta – che è nella realtà  ed è nella logica della legge 194, che non offre alternative ma propone solo la morte del figlio – si fa ancora più profonda: a tu per tu con quello che senti dentro il tuo corpo e vedi con i tuoi occhi.

Lo spiega con chiarezza il prof. Victor Tambone, del Campus Bio-medico di Roma: «Baulieu è stato molto esplicito nel mostrare ciò che è il progetto ideologico che si trova dietro alla nozione (da lui coniata) di “contragestione”: si tratta della soppressione culturale della coscienza dell’aborto.

Si tratta del desiderio di privatizzare ulteriormente questo tema, questo tipo di intervento, cercando una soluzione molecolare ad un problema biologico. Non si tratta soltanto di eliminare il senso di colpa legato all’aborto, ma di ridurre la trasmissione della vita umana a qualcosa di essenzialmente fisiologico: l’embrione diventa in questo modo soltanto un tessuto ormono-dipendente, il cui sviluppo e sopravvivenza può essere “regolato” attraverso antiormoni.

È un progetto ideologicamente molto serio, poiché si va al di là della negazione dei diritti dell’embrione puntando addirittura a negarne la reale esistenza. […]

Questo indirizzo antropologico penso che acquisti una certa luce interpretativa dalle parole di P. Simon* […]: “Se la grande vittoria della medicina nel passato fu quella di far indietreggiare la morte, la seconda vittoria sarà quella di cambiare la nozione stessa della vita … La vita umana perde oggi il suo carattere assoluto … per divenire un concetto che si modella ed evolve a seconda delle leggi, delle idee, della conoscenza. La vita è ciò che fanno i viventi: è la cultura che la determina”.»

 

* Pierre Simon (1925-2008), ginecologo francese, operò attivamente per la diffusione della contraccezione in Francia. Funzionario del Ministero della salute, fu  per due volte Gran Maestro della Gran Loggia di Francia ed esponente del Partito Radicale.

 

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