(Lettera Napoletana) Il Regno delle Due Sicilie non cadde per “implosione”, come vorrebbe una parte degli storici risorgimentali, ma per un’aggressione militare progettata dal Piemonte, con la collaborazione attiva dell’Inghilterra e la complicità della Francia. Ma perché il Regno non riuscì a resistere all’aggressione militare? L’argomento è oggetto di una letteratura ormai ampia, ma un nuovo saggio dell’ammiraglio Mario Montalto, studioso di storia militare, che uscirà a giorni per l’Editoriale Il Giglio (“L’aggressione militare al Regno delle Due Sicilie”, Editoriale Il Giglio, Napoli 2015, pp. 40 + 8 immagini a colori, € 10,00 ) esamina – secondo i criteri delle Scuola di guerra – i “fattori di potenza e di debolezza” dell’esercito borbonico, gli errori strategici compiuti nel 1860, la concezione di guerra ideologica e totale combattuta dai piemontesi.

L’ammiraglio Montalto è autore di altri tre saggi sulle forze armate borboniche editi dal Giglio (L’Esercito delle Due Sicilie, 2005; La Marina delle Due Sicilie, 2007 e I Cacciatori Napoletani, 2010).

Lo studioso sgombra il campo dall’immagine caricaturale dell’“esercito di Franceschiello”, creata dalla divulgazione risorgimentale. Dopo il riordinamento voluto da Ferdinando II – scrive Montalto – «il nostro esercito era in sintesi un complesso estremamente valido e autosufficiente, non privo, però di difetti strutturali». Quanto alla Marina, l’Armata di Mare, «nel 1860 essa si presentava come un ottimo edificio, solido moderno, ben strutturato», era «la più importante tra le [Marine] preunitarie per organizzazione tecnica ed amministrativa, qualità e quantità degli stati maggiori e degli equipaggi». «L’edificio, però – aggiunge Montalto – era corroso dalle termiti e queste termiti (….) erano gli uomini. […] L’ufficialità [dell’Armata di Mare] era inquinata dalle idee liberalmassoniche in proporzione molto più ampia che non l’Esercito e, a differenza di questo, fino ai gradi più bassi».

Le “termiti” che avevano scavato l’imponente edificio della Marina borbonica erano le logge massoniche ed i circoli liberali che avevano conquistato non solo gli alti gradi, ma anche i marinai. Prima di essere sconfitti dalla guerra guerreggiata, i Borbone di Napoli, pur disponendo di un esercito di prim’ordine, erano stati sconfitti dalla guerra occulta, una guerra tipicamente rivoluzionaria, contro la quale il Regno delle Due Sicilie non aveva praticamente difese, se si esclude la consapevolezza di alcuni singoli. Si può citare Giacinto de’ Sivo, che nella sua “Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861” (2 voll., Edizioni Trabant, Brindisi 2009) punta l’attenzione al ruolo della “setta” . Contro-rivoluzionario, de’ Sivo era consapevole che quella che si stava combattendo non era soltanto una guerra, ma uno scontro tra un’antica Nazione cattolica, che faceva da scudo allo Stato della Chiesa, ed il liberalismo. Quest’ultimo utilizzò come strumenti il Piemonte e la dinastia dei Savoia.

L’aggressione militare al Regno delle Due Sicilie fu preceduta da quella politica. «Nel 1860 – scrive Montalto – il Regno delle Due Sicilie è politicamente isolato» . Questo isolamento è stato rimproverato sia a Ferdinando II che a Francesco II da diversi storici. Ma un riavvicinamento all’Inghilterra, che inizialmente aveva protetto il Regno in funzione anti-napoleonica – osserva Montalto – avrebbe comportato la perdita de facto della Sicilia, che l’Inghilterra voleva per gli zolfi e per farne una base navale, che l’avrebbe collocata al centro del Mediterraneo. La Marina mercantile delle Due Sicilie e le sue esportazioni sarebbero passate sotto il controllo della Royal Navy. Apparentemente un riavvicinamento alla Francia sarebbe sembrato meno pericoloso. Ma – osserva Montalto – alcuni esuli «avevano fatto delle avances positivamente accolte a discendenti di Murat» e la sostituzione della dinastia dei Borbone con quella dei Murat «avrebbe consentito a Napoleone III di fare del nostro Regno un protettorato francese».

Francesco II aveva un carattere mite e generoso, che lo indusse all’errore strategico – scrive Montalto – di abbandonare prima Palermo e poi Napoli al nemico pur di evitare alla popolazione ed alle città gli orrori e le devastazioni dei bombardamenti. La sua concezione era quella della guerra limitata e circoscritta da regole del Medioevo cristiano. La stessa idea – nota Montalto – che i suoi generali rimproveravano all’Imperatore Carlo I d’Asburgo (1887-1922), proclamato Beato dalla Chiesa nel 2004 . Ma «nel 1860 – scrive Montalto – siamo alla guerra moderna, quella totale, già praticato dagli eserciti della Rivoluzione francese e napoleonici (….) e già nel 1832 era stata pubblicata la prima edizione di “Von Kriege”[“La guerra”] di Karl Von Clausewitz». Il generale prussiano, già nel primo capitolo si pone il problema dell’etica in guerra (….) e definisce quest’ultima «un atto di forza che ha per scopo quello di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà». Per nemici spietati come gli uomini reclutati da Garibaldi ed i piemontesi, atti di bontà d’animo come quelli dei soldati del 14° Battaglione dei Cacciatori che si tuffarono nel Volturno per salvare la vita ai garibaldini che stavano annegando, senza poi neanche farli prigionieri, erano inconcepibili.

Ma Francesco II si batté con grande valore ed aveva capacità militari. Il Re voleva attaccare di nuovo all’indomani della battaglia del Volturno, (1 ottobre 1860). Aveva compreso che i garibaldini, i piemontesi, e gli altri reparti stranieri che li affiancavano erano allo stremo e non avrebbero resistito ad una nuova offensiva napoletana.

 «Quest’ultimo errore – nota l’ammiraglio Montalto – fu frutto della natura troppo temporeggiatrice (e il tempo lavorava contro di noi !) e prudente del generale Ritucci, che prevalse sull’intuizione di Sua Maestà, il quale aveva perfettamente capito la portata della vittoria e voleva che si attaccasse di nuovo e subito». (LN83/15)

 

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