Il 13 agosto 1961 il regime comunista della Germania Est (DDR) cominciò la costruzione di un muro per dividere in due Berlino. L’accesso e l’uscita dalla parte orientale della città fu bloccato dai Vopos (abbreviazione per Volkspolizei, “Polizia popolare”) con le armi spianate. Nel giro di poche ore l’intera linea di confine tra le due Germanie era presidiata dalla polizia. L’obiettivo era quello arginare la fuga di massa verso l’Occidente di cittadini della “Repubblica democratica tedesca”, questo il nome ufficiale della Germania comunista, verso l’Occidente.

Prima del completamento del muro fu collocato un reticolato di filo spinato alto due metri, completato il 15 agosto. Pochi giorni dopo un secondo ed un terzo reticolato di filo spinato furono aggiunti ai blocchi di pietra del muro, che già raggiungeva i tre chilometri di lunghezza. Si apriva così una delle pagine più atroci del totalitarismo comunista, durata 28 anni, fino al crollo dei regimi dell’Est europeo, avvenuto nel 1989.

Cinque anni dopo la sua costruzione il Muro di Berlino era lungo 25 chilometri. Con il filo spinato utilizzato si sarebbe potuto cingere tutto il mondo, con il materiale usato per le fortificazioni si sarebbe potuta costruire una piccola città. A guardia del Muro c’erano 210 torrette di osservazione con agenti armati che avevano l’ordine di sparare a vista su chiunque cercasse di oltrepassarlo e 102 postazioni per cani feroci addestrati per la caccia all’uomo, legati ad un guinzaglio lungo 100 metri.

Le vittime del Muro di Berlino, dal 1961 al 1989, sono state 465, secondo dati resi noti dal direttore del Museo del Muro a Checkpoint Charlie, Alexandra Hildebrandt (Ansa, 9.8.2011). La cifra comprende non solo i fuggitivi uccisi dai Vopos, ma anche quanti morirono accidentalmente nel tentativo di valicare il Muro, le vittime di malori durante i controlli ed i suicidi.

Il 17 agosto 1962, Peter Fechter, un muratore di Berlino Est di 18 anni, tentò la fuga insieme ad un amico in Zimmerstrasse. I Vopos aprirono il fuoco e Fechter fu colpito al bacino mentre si arrampicava sul secondo sbarramento del Muro. Sotto gli occhi di centinaia di persone impotenti a Berlino Ovest, fu lasciato agonizzante a terra mentre urlava chiedendo aiuto. Dall’Ovest gli lanciarono rotoli di garza, ma lui era troppo debole per raccogliergli. Fechter morì dissanguato dopo quasi un’ora di agonia. Fu la 27esima vittima del Muro di Berlino.

Il giornale del partito comunista italiano l’Unità commentò così la costruzione del Muro di Berlino: «È un passo avanti verso la conclusione del trattato di pace tedesco» (16.8.1961).

In Italia, ma non solo, quella del Muro di Berlino subisce la sorte di tutta la storia del cosiddetto “socialismo reale”, cioè degli orrori che l’ideologia marxista ha generato in tutti i paesi nei quali ha conquistato il potere: una storia negata, oscurata, passata come danno collaterale dell’avanzata verso un preteso “progresso ineluttabile”. Scarsissima la letteratura sull’argomento, praticamente inesistente la filmografia, appena qualche cenno nei libri di scuola.

Sul comunismo ancora non è stata avviata la pur minima critica, né storica, né filosofica, né politica.

I partiti comunisti  – e quello italiano era il maggiore di tutto l’Occidente – hanno cambiato nome con operazioni di superficiale restyling, ma non hanno abiurato all’ideologia della quale sono stati sostenitori e non ne hanno riconosciuto le colpe.

Uomini politici, formati nelle scuole dei partiti comunisti – famosa quella delle Frattocchie dalla quale uscivano tutti i dirigenti del PCI – e che approvarono i regimi d’oltre cortina, come si diceva allora, e non di rado collaborarono con essi al limite del tradimento della propria Patria (a volte oltre) siedono ancora nei Parlamenti di mezza Europa e ricoprono alte cariche.

Linguaggi, idee, miti e modelli ideologici del comunismo continuano ad avere libera circolazione e continuano a condizionare la nostra cultura mentre i cento milioni di vittime che ha mietuto nel mondo sono dimenticati.

Perché questo non avvenga, per mantenere viva la memoria di un simbolo come il Muro di Berlino, simbolo dell’oppressione e del desiderio di libertà, invitiamo i lettori a visitare le pagine

Il muro che divise il mondo

Tutti i numeri del muro che divise il mondo

Le foto per non dimenticare

Berlin, la canzone di Leo Valeriano