Giacinto de’ Sivo

L’Italia e il suo dramma politico nel 1861

con il testo integrale del Discorso per i morti nelle giornate del Volturno

prima edizione 2002

pagine 104 – € 12,00 – sconto Soci 30%

 

 

 

Composta da un saggio e da 6 articoli apparsi in un precedente opuscolo anonimo, l’opera, pubblicata nel 1861, è la lucida previsione delle conseguenze politiche e sociali dell’unificazione forzata della Penisola, voluta dalla violenza delle armi poste al servizio di un potere occulto ed astrattamente ideologico, lontano dagli interessi dei popoli. La Setta, denunciava de’ Sivo, aveva diffuso ogni sorta di menzogne, corrotto generali con danaro e con false promesse, violato le regole della politica e quelle dell’onore e, infine, aveva preteso di legittimare violenze e soprusi con un plebiscito di annessione, svolto sotto il controllo delle baionette, con la collaborazione dei camorristi, in un clima di intimidazione e rappresaglia.

Il Discorso per i caduti nelle giornate del Volturno difendendo il Reame, fu scritto da de’ Sivo in occasione della Messa di suffragio celebrata a Roma, dove Francesco II era esiliato, per il primo anniversario della epica battaglia del Volturno (1-2 ottobre 1860). Esso è un vero e proprio atto d’accusa contro i generali corrotti, che non condussero l’esercito borbonico alla vittoria ormai sicura, ma anche il doloroso ricordo di coloro che persero la vita per difendere la Patria napoletana e un fiero riconoscimento dei “briganti” che ancora combattevano sui monti in nome del Re.

Il contesto storico

Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrò a Napoli, occupandola militarmente in nome di Vittorio Emanuele II.

Il Regno delle Due Sicilie non era ancora finito: i diplomatici cercavano appoggio presso le Corti europee; l’esercito napoletano fremeva nell’attesa dello scontro definitivo contro il nemico; il popolo napoletano, in tutte le provincie, resisteva al sopruso e alla violenza; gli intellettuali denunciavano con i loro scritti il regime di sopraffazione e feroce repressione che il dittatore aveva instaurato.

Meno di un mese dopo, nella piana del Volturno, presso Capua, si svolse la battaglia definitiva, nella quale l’esercito napoletano, guidato dal re Francesco II e dai principi reali, fu prossimo alla vittoria. Soltanto il tradimento di alcuni generali corrotti impedì che il valore napoletano cambiasse il corso della storia.

L’autore

Giacinto de’ Sivo (Maddaloni 1814 – Roma 1867) è lo storico più importante dell’Antirisorgimento.

Frequentò a Napoli la scuola di lingua ed elocuzione di Basilio Puoti. Nel 1848 fu nominato Consigliere d’intentendenza della Provincia di Terra di lavoro. Il 14 settembre 1860 rifiutò di rendere omaggio a Garibaldi e fu arrestato. La sua villa di Maddaloni (Caserta), occupata da Nino Bixio e dai garibaldini, fu saccheggiata.

Il 1 gennaio 1861 fu arrestato per la seconda volta per la sua opposizione al nuovo regime e scontò due mesi di carcere. Appena uscito cominciò a pubblicare un giornale, La Tragicommedia, in cui riferiva coraggiosamente della repressione, della colonizzazione e della rivolta in atto in quello che era stato il Regno delle Due Sicilie. Il giornale fu chiuso dalla polizia dopo soli tre numeri e de’ Sivo fu costretto a rifugiarsi a Roma. Nel 1861 pubblicò Italia e il suo dramma politico nel 1861. Tra il 1862 ed il 1867, superando enormi difficoltà, uscì la sua Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, opera fondamentale per comprendere l’unificazione dell’Italia dalla parte degli sconfitti. Morì in esilio a Roma nel 1867. 

L’Editoriale Il Giglio ha pubblicato anche la raccolta degli scritti più conosciuti di de’ Sivo, La Tragicommedia, il giornale da lui pubblicato durante l’occupazione e chiuso al terzo numero con l’arresto dell’autore.

Il brano scelto

I Napoletani non vogliono

“E fosse pur buona, la ricusano i Napolitani. La volontà popolare, ora quando si deifica il diritto dei popoli, sarà solo pe’ Napolitani parola morta, anzi amaro scherno? Torino vuole far una Italia, e le Due Sicilie saran disfatte perché Torino vuole? Certo anche qui, il 24 ottobre 1860, fu secondo l’usanza un suffragio universale; un suffragio dopo che il Dittatore aveva decretata l’annessione!

Vi presiedevano cinquantamila Garibaldini con l’arme sanguinose, mentre cinquantamila baionette sarde assalivano alle spalle i nostri pugnanti soldati. In quel momento di terrore, quando a un girar di ciglio un uomo era morto; quando i cartelli sulle cantonate dichiaravano NEMICO chi votasse pel NO; quando battiture e ferite e morti seguivano nelle sale de’ comizi; quando anche l’astenersi era apposto a colpa di Stato; in quel terribile furor di guerra fra cannoni e pugnali e revolvers, quando eran poste due urne palesi per far che la paura sforzasse la coscienza, e quelle del NO eran coperte da’ camorristi; quando costoro in fretta, di piazza in piazza, votavan le dodici volte; quando minacce, insinuazioni e promesse sforzavano la volontà; quando gl’impazienti vincitori, frementi dell’aspettare e del veder pochi votanti lanciavano a piene mani il SI dentro l’urne; quando gli scrutinatori moltiplicavanli con la penna, e ne facevano a forza numero di maggioranza, oh!.. quel famosissimo suffragio universale è crudo scherno. Niun pacifico uomo, in quei miserevoli giorni, poneva mente a quanto la setta operava. Salvar la vita era il pensiero universale, e il poter salvarla col gettare una schedula nell’urna era sovente opportuno modo.

Il popolo udì il non più udito plebiscito, senza intenderlo, e dove intese si astenne o riluttò. Nella piazza reale di Napoli fu proclamato il voto, senza sorpresa, senza plauso, senza popolo, se plauso e popolo non diransi le guardie nazionali per ordine, e i camorristi di rito, e loro famiglie. Il popolo, e sopratutto quello delle campagne, fremeva a quella ressa, della quale non bene il senso intendeva, ma ben capiva ch’era rivoluzione e broglio. Il contrabbandiere vedeva di poter ora spregiar le ordinanze doganali; il proletario sentiva che avrebbe mangiato senza fatica; l’ambizioso che avrebbe uffizi e soldi; il galeotto si vedeva fuor dagli ergastoli; e pur di donne brutte e vecchie si speravan trovare amanti e mariti fra tanti scavezzacolli stranieri. La buona gente si stava a casa o stretta in carcere, timorosa ed ansiosa, non dando importanza legale a quella rea tragicommedia.”