Jean Ousset

L’Azione. Manuale per una riconquista cattolica politica e sociale 

traduzione e introduzione di Guido Vignelli

prima edizione 2016

pagine 232 

€ 15,00 – sconto Soci 30%

 

Nel disorientamento prodotto dalla mancanza di leader, di fronte all’aggressione culturale permanente dei mass-media della società secolarizzata, un piccolo gruppo che si propone un’opera di restaurazione della società naturale e cristiana può ancora agire con efficacia?

A questa domanda, contro ogni tentazione di scoramento e senso di impotenza, risponde affermativamente il manuale sull’azione di Jean Ousset, presentato ora nella traduzione di Guido Vignelli e con la prefazione di Miguel Ayuso.

È la prima edizione italiana del saggio di Jean Ousset (1914-1994), fondatore della Cité Catholique ed ispiratore in Francia, Spagna, Portogallo, America Latina ed Africa francofona di numerose associazioni e reti di formazione.

Un piccolo gruppo che agisca come una élite irraggiante nella società può avere una efficacia decisiva. È indispensabile però che disponga, oltre che di una salda formazione dottrinale, di un metodo per l’azione civica, cioè politica nel senso classico del termine, e culturale.

L’azione non può essere lasciata all’iniziativa spontanea, ma va studiata ed organizzata. “Pregare come se tutto dipendesse da Dio, agire come se tutto dipendesse da noi”, era l’insegnamento di S. Ignazio di Loyola.

La strada che indica Jean Ousset non è quella di dare vita ad un’organizzazione complessa ed articolata che si ponga come una gerarchia parallela nella società, ma quella di un gruppo capace di rivitalizzare le gerarchie naturali, le associazioni, gli Ordini professionali, i corpi intermedi della società.

Questa linea di azione fu definita – come ricorda il prof. Miguel Ayuso nella sua prefazione – dal filosofo Marcel de Corte come un’“azione medica” sulla società, in contrapposizione all’azione ortopedica.

Jean Ousset utilizzò questo immagine in un suo discorso (Losanna, 1973). «Ogni metodo ortopedico di azione civica, politica o sociale, per propria logica interna, è portato – e non potrebbe essere diversamente per la logica stessa del metodo – alla creazione ed al continuo sostegno di quelle che si chiamano “gerarchie parallele”, cioè di gerarchie attaccate, aggiunte ed imposte alle gerarchie naturali ed alle gerarchie organiche della società (….) al contrario un’azione politica e sociale realmente “medica”, invece di dedicarsi all’organizzazione, alla messa a punto ed alla gestione (complessa e costosa) di gerarchie parallele, ha il solo compito (….) di fornire alle gerarchie naturali ed autentiche dei diversi organismi sociali un supplemento di formazione politica e sociale (….) insieme al contributo di strategico e tattico di un’azione concertata (sussidiaria) che per le gerarchie naturali è facile da svolgere se appena credono in se stesse, mano a mano che le si aiuta a crederci».

La formazione dei dirigenti, l’azione sulle masse, i mezzi da utilizzare nell’azione, il denaro, le organizzazioni segrete, lo stile da adottare nell’azione. Lo studio di Ousset fornisce indicazioni precise, che restano valide anche nell’era di Internet. La battaglia per un riconquista cattolica politica e sociale della società è possibile, ma per combatterla non basta la volontà, bisogna conoscere la tecnica di combattimento.

 

Il curatore

Guido Vignelli (Roma, 1954), studioso di etica, politica e scienza delle comunicazioni, è stato tra i fondatori del Centro Culturale Lepanto. Dal 2001 al 2006 è stato componente della Commissione di Studio sulla Famiglia istituita dalla Vicepresidenza del Consiglio dei Ministri. Ha tenuto corsi di aggiornamento per docenti al Faes e l’Oeffe di Milano, all’I.P.E. e all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, presso la Scuola di Formazione Sociale dell’Arcidiocesi di Palermo. È autore di numerosi articoli e dei volumi Matrigna televisione, Il video tentatore, L’invasione silenziosa (2002), San Francesco antimoderno (2009). Per l’Editoriale Il Giglio è coautore del saggio Perchè non festeggiamo l’unità d’Italia (2011) ed ha tradotto e curato Considerazioni sulla Francia di Joseph de Maistre (2010) e Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo di Plinio Corrêa de Oliveira (2012).

 

Il brano scelto

«Ciò che è in questione, è sapere se si può ancora tentare qualcosa di efficace per fermare l’avanzata della Rivoluzione. È sapere se ci siamo definitivamente ridotti a combattere senza speranza di vincere.  È  sapere ciò che pensiamo di noi stessi.

Siamo forse una retroguardia incaricata di permettere al grosso della truppa di ripiegare, di smobilitare col minimo danno?

Ci riduciamo forse a mantenere il diritto, che ancora ci resta, di proclamare vigorosi rifiuti e solenni esortazioni?

La nostra ambizione si limita forse a coltivare un ricordo, a costituire un certo numero di gruppi nei quali, per la consolazione di una minoranza, saranno conservati e trasmessi gli elementi di una dottrina che nessuno vuole più? Qualcosa di simile a ciò che sono tante associazioni: “amici dell’antico borgo”, iniziati al tiro con l’arco, fanatici di Mozart o di Pergolesi?

Azioni e occupazioni queste molto onorevoli, senza dubbio, ma lontanissimi da una impresa di riconquista sociale.

Dalla risposta a tali questioni non può che dipendere la scelta di un metodo e di mezzi molto differenti.

Per mantenere un ricordo, per mantenere un gruppo di fedeli in relativo fervore, anche per cercare di aumentarne il numero, poche cose bastano: alcune riunioni, alcuni bollettini mensili o settimanali, alcuni libri pubblicati, con alterni risultati.

A questo livello, l’azione può essere ridotta allo sforzo di poche personalità che parlano, scrivono, s’impegnano; la truppa si accontenta di ascoltare, leggere, applaudire. Il che può essere consolante e meritorio, si può perfino dire che è “azione”; ma non è azione conquistatrice.

Ciò che è in questione, è sapere ciò che vogliamo. O ci si accontenta di essere una congrega confortata solo da un gioco di reciproche congratulazioni; o si lavora efficacemente per il trionfo, universalmente salvifico, della Verità.

Certo, la lotta dura da molto tempo e la mancanza di ardore, il ripiegamento su sé stessi, lo scoraggiamento sono facili, quando l’armata di cui si ha la missione di assicurare la riscossa non ha mai smesso di battere in ritirata.

Ciò che è in questione, infine, è proprio questo: com’è possibile che così tanti lavori e sforzi non abbiamo prodotto un miglior risultato?

Noi c’impegniamo, eppure indietreggiamo continuamente; noi remiamo, eppure la corrente ci trascina. Come mai?

 È  forse normale che la verità sia così continuamente sterile, mentre la menzogna è così continuamente trionfante?

Almeno, tali questioni ce le poniamo davvero?

Altrimenti, come spiegarsi che persone – peraltro scrupolose, coscienziose, ragionevoli – possano fino a questo punto trascurare di porsi come si deve il problema del dovere e delle condizioni di efficacia, al servizio della più santa causa nel campo temporale?

Vero è che l’efficacia stessa è un concetto considerato con gran sospetto.

Alcuni si fanno vanto di scartarla, col pretesto ch’essa sarebbe marxista. Ed è un fatto che essa è il solo concetto ammesso dal marxismo. Lungi da noi questo eccesso, dunque!

Ma lungi da noi anche l’opposto eccesso, così favorevole al soddisfacimento del minimo sforzo: quello secondo cui basterebbe “seminare”, poiché il destino del raccolto sarebbe riservato al solo Dio.

Che modo arbitrario d’interpretare la parabola evangelica del seminatore! Essa non insegna di scaricare su Dio il miglior raccolto della seminagione, ma fa osservare che questa rende il centuplo, oppure si perde sterilmente, secondo che cada o non cada su una terra convenientemente preparata. Ciò prova che, per assicurare il successo del raccolto, non basta lo sforzo iniziale, a breve scadenza, ma ci vuole l’impegno di coltivare, ossia di fare uno sforzo e un’azione adeguata.

Certo, i progetti di Dio sono inscrutabili, e le sue vie non sono le nostre.

Ma spesso, in nome di un soprannaturale bizzarramente inteso, col pretesto che Dio può trionfare con un nulla, è appunto non facendo nulla (nulla di adeguato, nulla di sufficiente) che ci aspettiamo una vittoria che, finché l’aspetteremo in questo modo, non ci sarà mai concessa da Dio.

Questa evasione soprannaturale, apparentemente edificante, contiene un inammissibile modo di dispensarci del più elementare dovere di autocritica».