Giacinto de’ Sivo

La Tragicommedia. L’unificazione dell’Italia vista dalla parte del Sud

a cura di Francesco Maurizio Di Giovine e Gabriele Marzocco

prima edizione 1993 – seconda edizione 1996

pagine 110 – € 12,00  –  sconto Soci 30%

  

 

 

Vista con gli occhi dei napoletani del 1861, l’unificazione d’Italia fu un evento tragico, come può esserlo l’invasione armata e violenta del proprio Paese da parte di un esercito straniero, ma, al tempo stesso, presentava un elemento ridicolo nella pretesa dei piemontesi di agire in nome della libertà di quegli stessi napoletani che venivano uccisi, repressi, spogliati di ogni ricchezza.

La Tragicommedia è il giornale scritto e diretto da Giacinto de’ Sivo, a Napoli, durante l’occupazione piemontese. In esso comparivano articoli di cronaca, la rassegna stampa delle notizie sulla situazione napoletana comparse su giornali stranieri ed italiani, note politiche. Testimone diretto dei fatti, interprete del dolore e dell’indignazione dei napoletani, de’ Sivo riuscì a pubblicare soltanto tre numeri del suo giornale, dal 19 al 26 giugno 1861.

Alla vigilia dell’uscita del quarto numero, la testata fu soppressa e Giacinto de’ Sivo fu arrestato dai soldati piemontesi.

Il contesto storico

Nella Napoli dei Borbone, anche durante l’aggressione armata del Regno da parte del Piemonte, venivano stampati ben 100 giornali di ogni formato, tutti o quasi, filo-unitari e filo-garibaldini.

Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrò a Napoli, occupandola militarmente in nome di Vittorio Emanuele II. Da quel momento iniziò una feroce repressione che cancellò tutte le libertà civili, prima fra tutte quella di stampa.

L’autore

Storico, letterato, giornalista, uomo d’azione, Giacinto de’ Sivo (Maddaloni, 1814 – Roma 1867) è stato una delle figure più eminenti ed intransigenti dell’antirisorgimento italiano.

Fu autore di tragedie, romanzi, scritti politici e giornalistici; la sua opera maggiore è l’imponente Storia del Regno delle Due Sicilie, in cinque volumi, pubblicata tra il 1863 e il 1867. Arrestato tre volte per non aver voluto rendere omaggio al nuovo regime e per aver continuato a difendere il proprio Paese con l’unica arma rimasta, la parola, fu costretto all’esilio dopo la soppressione del suo giornale, La Tragicommedia.

Di de’ Sivo l’Editoriale Il Giglio ha pubblicato anche L’Italia e il suo dramma politico nel 1861, con il testo integrale del Discorso per i morti nelle giornate del Volturno.

Il brano scelto

«Sino all’anno passato, ricchi di pace, di memorie, di costumi, dl prosperità, di commercio e di arti, noi eravamo la invidia delle genti: drammatica nostra, musica nostra, arti ed industrie napolitane, opere d’ingegno e di coltura, maravigliosi musei, strade ferrate, gas, opificii, opere di carità, esercito, marina, bacini, arsenali, tutte cose ne facevan forti e rispettati.

Ma cotali beni eran nulli: dovevano essere irraggiati dal soffio della libertà. Ed è venuta la libertà; la quale siccome donna gelosissima ha voluto esser sola, e ha diroccato ogni pristina ricchezza e potenza.

Questo non dico io; disselo gravemente il Ricciardi nostro deputato al parlamento torinese; e le nostre miserie son noverate con leggerezza uguale alla stoltezza da un aggiunto all’ultimo luogotenente in queste province.

Il de Nigra denigra i Napolitani; e per averne egli subissato, dichiara a sua difesa la nostra corruzione ed ignoranza. Qui, egli dice, tutti siam mendicanti, anche i Signori.

Ma dove ha egli visto viso di Signore? Giovanissimo ed inesperto, salito per caso dalla piazza alla reggia che fu di Carlo XIII ei s’inebbria sì fattamente che osa lanciar il suo fango sul viso a sette milioni d’uomini.

E una schiera di re, nati re, potentissimi e sublimi, ne in cinquant’anni incarceraron mai quanti il Nigra carcerava in tre mesi, né fucilaron nessuno senza giudizio, né osarono nella loro onnipotenza insultare con un gesto l’ultimo de’ sudditi loro. Piangiamo, fratelli, piangiamo la nostra colpa.»

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