«Durante i due giorni destinati a discutere i patti della capitolazione, gli assedianti, che rifiutarono una tregua, non ristettero dal molestare la Piazza con i loro proiettili. Si stava per aprire il Parlamento di Torino e si voleva poter annunziare la presa di Gaeta (….) il fuoco acquistò in poche ore una violenza mai avuta: sicché il Cielo stesso pareva fiammeggiante.

[«Al toccare della mezzanotte dalle batterie italiane erano partiti 4.397 colpi e da quelle dei borbonici 1.469». Federico Carandini, ufficiale piemontese, L’assedio di Gaeta 1860-1861].

(…) le bombe scoppiano sulle case, sulle chiese e sugli ospedali facendo numerose vittime (…) Nessuno però si allontana dalle batterie; tutti sono vicini ai cannoni, ed a vicenda si contendono il posto dell’onore e del pericolo. Tre o quattro giovanetti dai quindici ai sedici anni, fuggiti dal collegio militare di Napoli per dividere i pericolo dell’assedio, più di ogni altri si distinguono.

La riserva delle munizioni ed il laboratorio in questo punto saltano per aria con un orribile fracasso e dalla forza della polvere un giovane ufficiale di artiglieria e pochi soldati vengono lanciati in alto, ricadendo nel mare. Una casamatta rovina, e rovinando seppellisce soldati ed artiglieri. I piemontesi a tal vista, presenti i plenipotenziari napoletani che concludono la capitolazione, emettono grida di gioia, battendo le mani palme a palme, come se assistessero ad uno spettacolo festivo.

(….) Alle quattro antimeridiane [del 14 febbraio 1861] l’avanguardia piemontese cominciava a penetrare nella Piazza, ed a salire sulle batterie. La Muette, vapore di guerra francese, ed i bastimenti spagnoli che dovevano ricevere il Re, non giungevano ancora, per il quale ritardo il giovane Eroe decise di recarsi sulla Partenope, fregata napoletana, che era disarmata in porto. Nel momento, però di mettere in atto questa decisione la Muette comparve. Allora il re e la Regina uscirono dalla casamatta, seguiti dai Principi. Ministri, Generali, gentiluomini e da un gran numero di ufficiali di ogni arma e grado, passando in mezzo alla guarnigione, schierata in battaglia fino alla Porta di mare. I soldati, laceri e defatigati, con gli occhi abbattuti presentavano le armi, mentre la musica dei reggimenti suonava la marcia reale.

(….) I soldati si prostravano singhiozzando dinanzi al Re; e gli ufficiali, oppressi dallo stesso dolore, si gettavano nelle braccia dei loro soldati, scambievolmente abbracciandosi ; e di questi ultimi vi furono molti che strappandosi le spallette ruppero le spade e le gettarono al suolo. (….)
Alla fine il Re, uscendo dalla porta di mare, salutò con la mano i suoi eroici soldati. (…) Mentre la Muette lasciava il porto una batteria rese gli ultimi onori al Re.
Le grida di “Viva il Re!” spinte dai cannonieri nel momento in cui si abbassava la bandiera Napoletana ci strinsero il cuore e quella bandiera sembrava un funereo drappo che si stendeva per nascondere la gloriosa Monarchia di Carlo III….

In cosiffatto modo, Signor Barone, si è compiuta la resistenza di Gaeta; il più memorabile evento dell’invasione del Regno».

(Teodoro Salzillo, L’assedio di Gaeta,

Lettera al Sig. Barone di Beust, Ministro degli Affari Esteri a Dresda)