La festa Alli tridece de giugno, in ricordo della vittoriosa impresa del Cardinale Fabrizio Ruffo e della sua Armata Cristiana e Reale, rapidamente costituita da migliaia di volontari, nella risalita dalle Calabrie a Napoli, è un appuntamento fisso nelle attività della Fondazione Il Giglio.

La festa, che unisce la rievocazione del passato e della memoria delle Due Sicilie e l’iniziativa presente di ricostruzione del tessuto socio-economico meridionale, con l’apporto delle aziende che aderiscono al Progetto CompraSud, si apre sempre con un convegno storico, nella convinzione che la battaglia culturale preceda necessariamente quella civile, e ancor più quella politica.

Senza la consapevolezza della propria storia e, attraverso di essa, delle caratteristiche che distinguono e uniscono i popoli meridionali, non è possibile una riscoperta della propria identità che vada oltre il dato folkloristico o si differenzi dal tifo campanilistico.

Senza questa consapevolezza identitaria, non è possibile un confronto con la realtà attuale che eviti le trappole di un approccio superficiale: attribuire agli “altri” la responsabilità del degrado, della mancanza di dignità, dell’abbandono, della connivenza, del silenzio, e credere di poter cambiare lo statu quo senza cambiare ciò che lo ha prodotto, senza doversi depurare dei vizi che ne sono la causa ma, anzi, accettandone le regole ed allineandosi ad esse, illudendosi – o illudendo gli ingenui – di essere capaci di gestirle per nobili fini.

Nel convegno 2015, il prof. Guido Vignelli ha tenuto la relazione dal titolo Sanfedismo ieri e oggi – che proponiamo ai nostri lettori -, nella quale analizza, senza remore, il ruolo avuto dalle diverse parti che composero il quadro dell’epopea del 1799, e quale sia l’insegnamento che possiamo trarne per il nostro presente.

«La riconquista di Napoli da parte dell’Armata della Santa Fede, il 13 giugno del 1799, costituisce un insegnamento prezioso ancora oggi, perché dimostra molte cose che bisogna tenere presenti se vogliamo favorire il riscatto della nostra patria.

L’epopea sanfedista dimostra la crisi culturale e politica del Regno napoletano e della sua stessa monarchia, prodotto nei decenni precedenti la Rivoluzione Francese dall’inquinamento dell’ideologia rivoluzionaria, favorito da una certa aristocrazia illuminista, da un certo clero modernizzante e perfino da alcuni esponenti della dinastia borbonica.

Dimostra il tradimento dei vertici del Regno, l’unico Stato italiano politicamente e militarmente capace di resistere all’invasione di un esercito potente come quello francese. Ma molti capi politici e notabili aristocratici erano o avversi alla guerra, o complici del nemico francese, o di fede giacobina.

Dimostra quanto fu tenace la fedeltà del popolo napoletano alla patria e alla dinastia regia. Secondo uno storico liberale moderato come Rodolico, «vi era, nella coscienza di quel popolo calunniato, un intimo, sia pur confuso, senso di giustizia, profondamente turbato da tradimenti, di cui esso era o credeva di essere vittima; vi era nell’animo di quel popolo un intenso affetto al proprio Paese, che vedeva calpestato dallo straniero».

Quella dei Lazzari napoletani fu la controrivoluzione più grande e tragica della storia italiana; il suo valore fu riconosciuto con stupore dagli stessi nemici.

[…] Oggi l’affidabilità del mondo culturale è nulla, quella del mondo politico è dubbia, quella del clero è scarsa; il popolo stesso è incerto, disorientato, demoralizzato per colpa della crisi culturale e spirituale favorita dalla propaganda massmediatica. Eppure esiste ancora …».

 

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