(Lettera Napoletana) Con una intera pagina messa a disposizione dall’edizione di Napoli del quotidiano “la Repubblica” (23.2.2019), il presidente della Società Napoletana di Storia Patria, Renata De Lorenzo e diverse associazioni di docenti universitari di Storia attaccano la Camera di Commercio di Napoli per la decisione di spostare il busto del generale piemontese Enrico Cialdini (1811-1892), responsabile del bombardamento di Gaeta durante l’assedio del 1860-61, dei massacri di Pontelandolfo e Casalduni (14 Agosto 1861) e di migliaia di fucilazioni, saccheggi e distruzioni di paesi del Sud durante la repressione dell’insurrezione definita brigantaggio successiva all’unificazione.

Il salone di rappresentanza dell’Ente, nel Palazzo della Borsa, ospita un grande busto in marmo di Cialdini, che la Giunta della Camera di Commercio, su proposta del vicepresidente vicario Fabrizio Luongo, ha deciso all’unanimità di spostare in altro luogo. “A noi piacerebbe  – ha detto Fabrizio Luongosostituirlo col volto di Angelina Romano, bimba di 9 anni che Cialdini fece fucilare” (“la Repubblica-Napoli”, 23.2.2019).

Diverse città del Sud tra le quali Palermo, Catania, Barletta e Lametia Terme, hanno cambiato negli anni scorsi la denominazione di strade e piazze intitolate all’autore delle stragi di civili meridionali. Anche Mestre ha deciso di cambiare il nome del piazzale che porta il nome del generale piemontese, mentre Vicenza ha cambiato la denominazione della piazza intitolata al colonnello vicentino Pier Eleonoro Negri, luogotenente di Cialdini che guidò i bersaglieri nella strage di Pontelandolfo, e l’ha ridenominata Piazza Pontelandolfo.

A Napoli, invece il tentativo di spostare un simbolo della violenza con la quale l’unificazione fu imposta all’ex Regno delle Due Sicilie provoca la mobilitazione della stampa radical-chic, delle vestali del Risorgimento, di giornalisti e docenti dietro i quali si muovono i poteri forti che presidiano la narrazione mitica dell’unificazione.

Secondo la De Lorenzoi comportamenti dei Gruppi dirigenti locali” sono da “contestualizzare in base ad una valutazione del clima complessivo che dettò scelte a suo tempo condivise”.

Gli atti di Cialdini e dei suoi uomini, quindi, non andrebbero valutati per il loro contenuto oggettivo (il massacro di inermi, donne, bambini) ma giustificati dall’ideologia dominante (il liberalismo risorgimentale) e dal consenso politico che esso raccoglieva tra i “gruppi dirigenti”.

Per la De Lorenzo, peraltro, i massacri di Pontelandolfo e Casalduni sono solo “presunti eccidi”, anche se perfino il socialista Giuliano Amato, presidente del Comitato per le celebrazioni per i 150 anni dell’unificazione, chiese ufficialmente scusa, a nome dello Stato italiano, ai discendenti delle vittime dei massacri.

Il presidente della Società Napoletana di Storia Patria, il cui metodo di ricerca storica è lo stesso degli autori delle fiction televisive, aggiunge che “la repressione del brigantaggio ebbe manifestazioni crudeli da entrambe le parti in lotta (…) con episodi di cannibalismo [sic!] e altre aberrazioni” da parte di questi ultimi, e mette sullo stesso piano “la distruzione del villaggio di Bosco”, ordinata dopo i moti liberali del 1828 dal Governo Borbonico, che avvenne – come scrive il liberale Luigi Settembrini – quando il villaggio era “già vuoto di abitanti”, e le stragi di civili inermi compiute dai piemontesi, per concludere che è su questa base che “la Società Napoletana di Storia Patria si è espressa contro una visione del passato che stravolge gli spazi e il loro portato simbolico, disancorandoli dalle motivazioni che le hanno plasmate.

Torna il concetto che “la motivazione” può giustificare un atto, indipendentemente dal suo contenuto. Con la stessa logica (la tesi dell’“accerchiamento delle potenze capitalistiche”) sono stati giustificate dai comunisti le epurazioni di massa di Stalin, lo sterminio dei kulaki, i Gulag sovietici… Quanto al “portato simbolico”, bisogna effettivamente chiedersi, se i contadini arsi vivi insieme alle loro donne ed ai bambini, nel Beneventano, non siano il simbolo migliore dell’unificazione italiana.

Contro lo spostamento del busto di Cialdini, la De Lorenzo ha promosso anche un appello di docenti universitari di Storia, ospitato senza alcuna replica da “la Repubblica-Napoli” (23.2.2019).

Negli ultimi anni – scrivono i docenti universitari – si sono moltiplicati i segnali di una certa conflittualità nella produzione di memorie collettive “ e citano “l’istituzione di una giornata della memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia. Quanto alla decisione della Camera di Commercio di spostare il busto di Cialdini, si tratterebbe di un episodio di “bonifica storica.

Le “memorie collettive” si producono, secondo questi docenti di Storia, e “negli ultimi anni” la loro “produzione“ sarebbe diventata “conflittuale. Forse vogliono dire che una nuova generazione di studiosi, in gran parte non accademici, ha cominciato, sulla base di fatti e documenti storici e non di costruzioni ideologiche, a mettere in discussione il “rito antico ed accettato” del Risorgimento del quale sono i guardiani.

Renata De Lorenzo è un’allieva del prof. Alfonso Scirocco (1924-2009), titolare della cattedra di Storia del Risorgimento all’Università Federico II, poi collaboratrice di Giuseppe Galasso. Il suo libro su Murat, personaggio del quale il presidente di Storia Patria è un’ammiratrice, è stato presentato in anteprima a Roma, l’8 luglio 2011, nella sede del Grande Oriente d’Italia, nel corso di una serata conclusa dal “Gran MaestroGustavo Raffi.

Le cattedre di “Storia del Risorgimento” furono create nelle Università italiane per costruire la memoria storica di un evento che vide come protagonisti gruppi ristrettissimi in ciascuno degli Stati pre-unitari dell’Italia. Un bilancio della loro attività può essere fatto guardando alla produzione. In occasione dei 150 anni dell’unificazione (2011), dalla parte risorgimentalista non è stato prodotto nessun contributo scientifico di rilievo, mentre la divulgazione ha sfornato biografie di personaggi risorgimentali firmate da giornalisti e compilatori, saccheggiando la bibliografia già esistente, mentre gli studiosi critici del Risorgimento hanno prodotto contributi originali corredati da documenti. Basti citare gli studi di Antonella Grippo, Angela Pellicciari, Gennaro De Crescenzo.

Ma perché i cultori della leggenda risorgimentale non producono nulla di serio? Perché se ci si mettesse a studiare davvero che cosa fu quello che è stato definito Risorgimento, emergerebbero non solo le stragi, di meridionali di cui Pontelandolofo e Casalduni sono solo un esempio, ma anche la totale mancanza di legittimazione dei suoi “gruppi dirigenti. Come si svolsero i plebisciti, non solo nel Regno delle Due Sicilie, ma nel Granducato di Toscana, nelle Legazioni Pontificie, in Veneto? Da dove provenivano i “patrioti” e quali legami avevano con le sette, con potenze straniere come l’Inghilterra? Che ruolo ebbero la camorra e la mafia nella gestione dell’ordine pubblico a Napoli e nell’avanzata di Garibaldi in Sicilia?

A queste ed altre domande è pericoloso rispondere. Si incrinerebbe definitivamente la ricostruzione affabulatoria dell’unificazione italiana. Meglio continuare a difendere i busti di Cialdini e di altri “eroi” del Risorgimento come lui, per impedire che vengano trasferiti in appositi Musei storici con targhette che rechino scritto: “criminale di guerra. (LN132/19)