(Lettera Napoletana) Tirrenia Cin (Compagnia italiana di Navigazione) chiuderà il 1 maggio la sede di Napoli, dove era cominciata nel dicembre 1936 la storia della Compagnia, proiettata con lungimiranza verso il Mediterraneo ed il Nordafrica. I 65 dipendenti sopravvissuti al progressivo svuotamento degli uffici di Palazzo Caravita di Sirignano, alla Riviera di Chiaia, saranno trasferiti tra Milano, Roma e Livorno.
Compagnia del Gruppo FINMARE, società dall’IRI controllata dal Ministero del Tesoro, Tirrenia è stata privatizzata a partire dal 2008 e nell’aprile 2012 è passata sotto il controllo dell’armatore Vincenzo Onorato.
Onorato è nato a Napoli e di questa operazione non si può accusare l’imprenditoria del Nord. Qui il problema è un altro: anche nel caso di Tirrenia Cin, come in quello del Banco di Napoli, svenduto nel 1997 dal Tesoro alla cordata INA-BNL per 30 milioni di euro e poi rivenduto al San Paolo di Torino con una fortissima plusvalenza, e per altri pezzi dell’Industria di Stato con la direzione al Sud, il passaggio dal controllo pubblico a quello privato ha significato il trasferimento al Nord di un centro decisionale, e la perdita di competenze professionali e di lavoratori qualificati.
E sulla vertenza della Tirrenia Cin c’è ancora una volta il silenzio e l’assenza di ogni iniziativa della classe politica meridionale. Prima di tutto, quella di Governo: la Regione Campania, il sindaco di Napoli De Magistris, i parlamentari. Ma anche dell’opposizione.
Allo shopping delle banche del Sud praticato da parte degli Istituti di credito del Nord negli anni ‘90, al trasferimento delle direzioni al Nord, i politici meridionali hanno assistito senza reagire, balbettando al massimo qualche lamentela. Clamorosa la vicenda dell’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni). La sua sede fu stabilita a Napoli nel 1997 dal Governo Prodi proprio per compensare – si disse all’epoca – la perdita di centri decisionali.
«Dopo anni e anni di spostamento da Napoli verso il Nord e verso Roma di importanti centri direzionali – affermò trionfalmente il sindaco Antonio Bassolino – c’è ora una significativa inversione di tendenza (…) attorno all’Authority possono svilupparsi con forza e serietà altre iniziative per fare di Napoli una capitale moderna del mondo delle comunicazioni» (ADN Kronos, 07.04.1997).
«Prima abbiamo insediato l’Autorità per l’Energia a Milano, dunque al Nord – dichiarò Romano Prodi, presidente del Consiglio – poi quella delle Telecomunicazioni a Napoli. Ciò dimostra che questo Governo comincia a mettere in pratica quelle operazioni di decentramento che tutti avevano chiesto» (“la Repubblica”, 12.07.1997).
Intanto a Milano veniva assegnata la sede dell’Autorità per l’Energia ed a Parma l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che sono in piena attività.
A Napoli, invece, a sede dell’AGCOM è stata smontata e trasferita progressivamente a Roma, a partire dai primi anni del 2000. Direzione dopo direzione, funzionario dopo funzionario, senza che nessun politico, a partire da quelli che si erano intestati i meriti del suo insediamento, facessero qualcosa per opporsi (cfr. “Sud: così portarono l’Autorità per le Comunicazioni a Roma”, LN 56/2012).
Non ha reagito, anzi, è stata complice la classe politica meridionale. E non hanno reagito i sindacati, che hanno preferito contrattare il trasferimento dei dirigenti residenti a Roma, non hanno reagito le associazioni degli imprenditori, ha taciuto la stampa.
Non è diversa la storia della Banca del Mezzogiorno, che avrebbe dovuto finanziare le PMI (piccole e medie imprese meridionali), compensare la forbice nel costo del denaro, che è una delle diseconomie a carico delle nostre aziende, e riportare al Sud la direzione di un Istituto di credito importante.
La volle nel 2010 il Governo Berlusconi. Nel progetto originario del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, avrebbe dovuto chiamarsi Banca del Sud ed avere la sede a Napoli. Tremonti designò alla presidenza onoraria il Principe Carlo di Borbone-Due Sicilie.
Ma il progetto – contrastato dai gruppi bancari del Nord (“Non so se serve…”, aveva dichiarato il presidente della Compagnia di San Paolo ed avvocato della Fiat Franzo Grande Stevens, Ansa, 17.4.08) andò avanti con grande lentezza, nell’indifferenza dei politici meridionali.
A novembre 2011 arrivò il Governo Monti, che aveva come ministro dello Sviluppo economico il banchiere Corrado Passera, ex amministratore delegato del Sanpaolo di Torino. Il ministro del Lavoro era Elsa Fornero, vicepresidente del Comitato di Sorveglianza della banca piemontese. Il destino della Banca del Mezzogiorno, come facilmente anticipò LN (cfr. “Sud: così faranno morire la Banca del Mezzogiorno”, LN 50/ 2012), era segnato.
Dopo vari passaggi, tra Poste Italiane e Mediocredito Centrale, la Banca del Mezzogiorno è stata ceduta ad Invitalia s.p.a, ultimo spezzone della vecchia Cassa per il Mezzogiorno. Dal 2012 la nuova denominazione è Banca del Mezzogiorno-Mediocredito centrale. La sede è a Roma. In questi anni, Banca del Mezzogiorno ha finanziato la Fiat, la Rolls-Royce, la multinazionale americana Unilever, Vodafone…
Se chiedete oggi notizie della Banca del Mezzogiorno ai politici meridionali non sanno neanche rispondervi. Ma Rosa Russo Iervolino, sindaco di Napoli dal 2001 al 2011, era stata sincera: «Noi la banca del Sud ce l’abbiamo a Napoli – disse ad un giornalista – ed è il Banco di Napoli» (Ansa, 13.2.2010). Era il 13 febbraio 2010. Dalla fine del 2002 il Banco di Napoli era stato acquisito dal Sanpaolo-IMI e poi incorporato nel Gruppo bancario torinese… (LN144/20).