(Lettera Meridionale) Con i soldi del “Recovery Fund” in arrivo i “meridionalisti” si moltiplicano, e la fretta di mettere le mani sulle risorse spinge ad impensabili convergenze

In realtà i soldi del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) – così si chiama in euroburocratese il piano presentato alla UE dal Governo Draghi – destinati al Sud, sono meno del 40% annunciato, su un totale di 209 miliardi, ai quali si aggiungono 30 miliardi di risorse nazionali.

Lo ha ammesso il presidente della Giunta regionale della Campania Vincenzo De Luca, del Pd: «Il Sud riceverà ancora meno del 40% perché, per arrivare al 40%, hanno inserito risorse da fondi già destinati al Sud» (Ansa, 9.5.2021).

Ma si tratta comunque di risorse cospicue da gestire e questo – come si è visto nella straordinaria rapidità con cui partiti “irriducibilmente” nemici si sono ritrovati insieme nel Governo Draghi – fa nascere alleanze inimmaginabili e crea fronti trasversali.

Così, il prof. Francesco Barbagallo, docente emerito di Storia contemporanea all’Università Federico II, elogia le tesi sul Sud contenute nel libro appena uscito di Giorgia Meloni, leader di “Fratelli d’Italia”. «Ho trovato molto interessanti le sue considerazioni sul Mezzogiorno», scrive Barbagallo (“Il Mattino”, 11.5.2021) e saluta  «l’avvenuta maturazione nello schieramento politico di destra di una piattaforma nettamente meridionalista».

Sul Sud, Giorgia Meloni non dice niente di nuovo e di originale, riproponendo la guida dello Stato per lo sviluppo, una strada già fallita con l’Intervento straordinario nel Mezzogiorno, che ha fatto pagare al Sud le infrastrutture realizzate, tra sprechi e ritardi biblici, con un mancato sviluppo autopropulsivo e con la penalizzazione della propria imprenditoria a vantaggio delle grandi imprese del Nord.

È la strada fallimentare che continuano ad invocare i “meridionalisti” del carrozzone Svimez, i Giannola, i Viesti ed i loro amici nei giornali, che all’ombra della Cassa per il Mezzogiorno hanno costruito la propria fortuna ed ottenuto lucrosi incarichi, mentre continuavano ininterrottamente la lamentazione sul “Sud arretrato” (cfr. LN115/17). Una tecnica che a Napoli si definisce coloritamente “chiagnere e fottere.

Neanche serve, per rilanciare il Sud, la citazione di Gramsci che fa la Meloni e che entusiasma Barbagallo. Per Gramsci la rivendicazione “meridionalista” era solo un momento dialettico della lotta di classe che avrebbe dovuto vedere gli operai del Nord ed i contadini del Sud alleati contro il grande capitale.

Barbagallo è un marxista che al congresso del PCI del 1991 si schierò con la mozione 2 di Ingrao e Tortorella, contraria alla trasformazione del partito che il crollo dell’URSS aveva reso necessaria, (“le bandiere non si cambiano”, disse al congresso regionale) e adesso elogia anche “le posizioni assunte dalla ministra Carfagna”.

Dove si vede che, per le risorse del “Recovery fund”, si mettono da parte prevenzioni ideologiche, “antifascismo”, anti-berlusconismo e l’armamentario ideologico dello schieramento culturale e politico al quale Barbagallo appartiene.

Restano fuori gli “irriducibili”. Il prof. Barbagallo distingue buoni e cattivi, tra “meridionalisti” e “sudisti”, che è l’unico concetto condivisibile del suo articolo. «Meridionalismo e sudismo – scrive – non sono sinonimi (…) il meridionalismo di Giustino Fortunato, Salveminii, Nitti, Stuzo, Gramsci, Dorso, pone il Mezzogiorno al centro di un più equilibrato sviluppo dello Stato nazionale italiano». Il sudismo (che Barbagallo definisce “di Scarfoglio e dei più recenti epigoni”) «è una ideologia subalterna e rivendicazionista (…), rilanciata negli ultimi anni insieme a una incalzante recrudescenza del neo-borbonismo» che avrebbe «inventato i morti borbonici nel forte piemontese di Fenestrelle», «moltiplicati i morti di Casalduni e Pontelandolfo, e dimenticati i 45 bersaglieri e carabinieri ammazzati».

La conoscenza dei fatti da parte del prof. Barbagallo è scarsissima. I soldati borbonici morti, non solo a Fenestrelle, ma nei campi di concentramento di San Maurizio Canavese, Alessandria, Genova, Milano, Bergamo ed in altri luoghi di detenzione, sono una realtà documentata. Scriveva il giornale piemontese “L’Armonia” (23.1.1861): «consta che il numero degli ufficiali napoletani prigionieri ascende alla rispettabile cifra di 1700 e che quello dei soldati () non è forse inferiore di 24.000» (cfr. Fulvio Izzo, “I lager dei Savoia”, Controcorrente, Napoli 1999 ). Quanto a Pontelandolfo e Casalduni (dove le vittime civili del massacro dei bersaglieri furono molte di più di 45) a Barbagallo sfugge che l’esercito piemontese conduceva una guerra di invasione e di aggressione contro le popolazioni meridionali.

Ma il docente emerito di Storia contemporanea non conosce neanche il noto giudizio del suo maestro, Antonio Gramsci, fondatore del PCI.

Gramsci non era un meridionalista e non era contrario all’unificazione dell’Italia. La sua critica al “Risorgimento” si limitava, secondo lo schema marxista, al fatto che si sarebbe trattato di un “patto” tra “borghesia industriale del Nord e possidenti agrari del Sud. Era contro i Borbone ed il Regno delle Due Sicilie: «le paterne amministrazioni di Spagna e dei Borboni – scriveva nel 1916 – nulla avevano creato; la borghesia non esisteva, l’agricoltura era primitiva e non bastava neppure a soddisfare il mercato locale; non strade, non porti, non utilizzazione delle poche acque che la regione, per la sua speciale conformazione geologica, possedeva» (“La Questione Meridionale”, Editori Riuniti, Roma 1982, p. 56).

Una critica non diversa da quella dei liberali emigrati a Torino. Ma in un articolo del 1920 a proposito della repressione del cosiddetto brigantaggio, Gramsci scrisse: «Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri, che scrittori salariati tentarono di infamare chiamandoli briganti» (“Avanti”, edizione piemontese, 18.2.1920).

Il Recovery fund fa dimenticare molte cose. «Fa piacere vedere come questa prospettiva sia condivisa largamente tra le forze politiche», si compiace Barbagallo. Ma certo. Tutti insieme “per il Sud. O no ? (LN158/21).