(Lettera Napoletana) Tre Regioni del Nord, Veneto, Lombardia ed EmiliaRomagna – le prime due dopo un referendum consultivo a Ottobre 2017 – chiedono più autonomia allo Stato centrale italiano (quello imposto dal Piemonte con l’unificazione), e trovano interlocutori disponibili nel Governo Lega-Movimento 5 Stelle, che dovrebbe trasformare a febbraio prossimo le loro richieste in un decreto legge sull’autonomia delle regioni.

L’autonomia regionale, peraltro, sarebbe prevista dalla stessa Costituzione dell’Italia (art. 116) finora inattuata.

Tra le richieste del Veneto, la Regione più decisa nelle rivendicazioni, nel testo proposto al Governo dal presidente Luca Zaia ci sono poteri in materia di istruzione scolastica, gestione dei Beni culturali, tutela dell’ambiente e della salute, commercio con l’estero, banche ed istituti di credito regionali, ecc., per un totale di 23 materie. Restano esclusi i poteri esclusivi dello Stato (sicurezza, moneta, politica estera).

In risposta, gran parte della classe politica meridionale, con la solita appendice di “meridionalisti”, che hanno lucrato per decenni sui mali del Sud, intellettuali organici, quotidiani che di meridionale hanno solo la redazione, e disinformati di varie categorie, grida alla “secessione”, al “Veneto che si fa Stato”, alla “inammissibile secessione dei ricchi”.

Il presidente dello Svimez, Adriano Giannola, che era consigliere del Banco di Napoli quando nel 1997 il Banco fu svenduto alla cordata INA-Bnl, per 13 anni alla guida della Fondazione Banco di Napoli, dove, insieme al suo successore Daniele Marrama, ha prodotto un buco di bilancio di 10 milioni di euro, (cfr. LN128/2018), su “Il Mattino” (3.12.2018), un quotidiano che il gruppo romano Caltagirone ha ridotto ad un foglio provinciale, parla di un pericoloso “sovranismo regionale” alimentato da Lega e 5 Stelle, che aprirebbe la strada alle “regioni confederate”.

Ma la Confederazione era l’alternativa all’unificazione centralista, di derivazione giacobina e napoleonica imposta dal Piemonte, ed era la soluzione proposta da liberali moderati, leali con i Borbone, come Pietro Calà Ulloa (1801-1879), ultimo primo ministro delle Due Sicilie, e da unitari che avevano aperto gli occhi come Francesco Proto, Duca di Maddaloni (1815-1892).

Per l’economista Gianfranco Viesti, componente del Comitato scientifico di SRM (Studi e ricerche Mezzogiorno), Centro Studi del gruppo bancario lombardo-piemontese Intesa Sanpaolo, per il quale ha inaugurato nel 2010 la filiale di Napoli di Banca Prossima (istituto del Gruppo), ex assessore regionale in Puglia ed ex presidente della Fiera del Levante di Bari, la richiesta di maggiore autonomia dallo Stato delle tre regioni è “la secessione dei ricchi che spacca il Paese” (Il Mattino, 2.12.2018).

Ma “il Paese” – Viesti non se n’è accorto – è spaccato dal 1861 e tutti gli indicatori economici, a partire dal quello del Pil, che al Sud è la metà di quello del Nord, fino ai dati tragici sull’emigrazione lo confermano.

E se, dall’unificazione in poi il divario Nord-Sud, prima inesistente (cfr. Gennaro De Crescenzo, “I Peggiori 150 anni della nostra Storia, Editoriale Il Giglio, Napoli 2012) è sempre aumentato, ciò è dovuto al legame a doppio filo, non solo ideologico ma di interesse, tra politici del Sud ed intellettuali alla Giannola ed alla Viesti – non a caso schierati entrambi contro la celebrazione della Giornata del ricordo per le vittime meridionali dell’unificazione (cfr. LN115/17) e lo Stato centrale, con il quale si realizza uno scambio tra affidamento della gestione delle risorse e consenso.

Certo, si può osservare che la maggiore autonomia delle Regioni del Nord, che chiedono di poter investire sui loro territori le tasse pagate allo Stato centrale (il Veneto chiede fino a 9/10 del totale) deve essere accompagnata da un fondo perequativo per la Regioni meridionali (previsto nella riforma del titolo V della Costituzione del 2001).

Tale richiesta rende ancora meno credibile ed utile la petizione “Agenda Sud 34”, una proposta minimalista, funzionale solo ad un ricambio interno della classe politica, sostenuta da frazioni dissidenti del Pd e dei 5 Stelle (Emiliano, Fico), che puntano ad una sostituzione delle alleanze di Governo. La petizione chiede per il Sud investimenti proporzionati alla popolazione residente, il 34%, cioè circa il 6% in più di quelli attuali.

Ma al Sud non serve un po’ di denaro pubblico – che sarebbe ancora una volta gestito da una classe politica scadente per preparazione e soprattutto legata ai poteri politici ed economici del Nord – ma la restituzione dei centri direttivi nell’economia, nella tecnologia, nella cultura, di cui è stato spogliato dall’unificazione in poi nel silenzio complice dei politici meridionali.

Come si risponde allora a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna (ma altre Regioni del Nord stanno per aggiungersi)? Con una sfida delle Regioni del Sud.

Con la richiesta di maggiore autonomia nella cultura, nel turismo, nell’agricoltura, tutti settori dove Il Sud è avanti e produce reddito che viene incamerato dallo Stato. Per fare un esempio, la Reggia borbonica di Caserta, uno dei monumenti più visitati d’Italia, incassa ogni anno – secondo dati dell’ex Sovrintendente ai Beni ambientali ed architettonici, Giovanna Petrenga – circa 2 milioni di euro, ma ne vede tornare solo 3-400mila attraverso il Ministero per i Beni culturali (Ansa, 21.9. 2008). Negli ultimi anni, gli incassi della Reggia di Caserta sono più che raddoppiati…

Con una macroregione meridionale (una proposta di referendum è stata presentata, cfr. LN 122/18) per fare “sistema” tra i territori del Sud e favorire la ricomposizione della comune identità culturale.

Con una battaglia nei confronti del Governo (di qualunque Governo) contro le discriminazioni e le vessazioni che i meridionali subiscono, nel silenzio dei loro politici, dai poteri economici e finanziari.

La Campania detiene il record negativo per i costi delle polizze RCA auto. Nella scorsa legislatura, il ddl sulla Concorrenza prevedeva finalmente l’introduzione di una tariffa unica sul territorio nazionale per gli automobilisti che non avessero effettuato incidenti negli ultimi anni o accettassero di installare la “scatola nera”. Il provvedimento, sgradito alla lobby delle Compagnie assicurative, non fu bocciato dalla Lega: fu “cancellato al Senato con un emendamento del senatore del Pd Salvatore Tomaselli, pugliese” (Il Mattino, 3.8.2017). E intanto una piccola impresa della Calabria paga il 9% di interesse alle banche sul credito contro il 3,1% di un’impresa del Trentino e la media, per le imprese del Sud è dell’8,2% rispetto al 6,5% del Centro-Nord (cfr. lo studio di Cesare Imbriani ed Antonio Lopez, in Rivista Economica del Mezzogiorno, n. 1-2, 2018).

Ma tutto questo significa per il Sud fare i conti con la propria classe politica. I suoi padri ideologici lo hanno tradito nel 1860-61, i loro eredi continuano a tradirlo. (LN130/18).