(Lettera Napoletana) – La Vela verde doveva essere abbattuta in 40 giorni, a partire dal 20 Febbraio, ma l’epidemia di Coronavirus ha bloccato il cantiere. Così il tentativo di cancellare i sette enormi mostri edilizi del quartiere Scampia, cominciato nel 1997, si è fermato di nuovo.
Le Vele, alloggi di edilizia popolare, sono un frutto della cultura urbanistica di sinistra degli anni ‘70, che considerava uno dei suoi progetti di punta quello dell’architetto Franz Di Salvo (1913-1977). L’idea era quella di ricreare l’ambiente del vicolo di Napoli – caratterizzato da forti legami sociali – a decine di metri di altezza, in strutture a forma triangolare, su stretti ballatoi su cui si affacciano uno di fronte all’altro decine di alloggi.
Un’utopia – termine amato dalla cultura sessantottina – che come molte altre ha generato mostri. Certo, moduli abitativi come quelli delle Vele esistono in Francia, a Villeneuve-Loubet, sulla Costa Azzurra, tra Nizza ed Antibes, ma sono destinati ad una funzione residenziale e sorgono sul mare, in un contesto urbano e sociologico del tutto diverso.
Le Vele di Scampia entrarono in funzione tra il 1976 ed il 1980. A Napoli governava la giunta di sinistra guidata dal comunista Maurizio Valenzi. Secondo uno studio del ricercatore del Dipartimento di urbanistica dell’Università di Napoli, Vincenzo Andriello, il 28, 5% degli inquilini delle Vele vi fu trasferito, cioè deportato, dal Centro storico.
Dal cuore antico della città all’estrema periferia Nord, isolata e priva di collegamenti e dei servizi essenziali. Nel 1980 parte degli alloggi fu occupata da terremotati, per il 46% provenienti ancora dal Centro storico (cfr. Vincenzo Andriello, “Vivere e cambiare nella 167 di Secondigliano”, Lan, Napoli 1986). Nel corso degli anni ‘80 furono occupate anche le cantine degli alloggi delle Vele dagli “scantinatisti”.
Il 57,1% dei residenti delle Vele – secondo lo studio dell’Università – faceva ritorno alle vecchie abitazioni, spesso i “bassi” (terranei) e gli alloggi precari del Centro storico, “per incontrare amici e parenti”.
Centinaia di famiglie napoletane, più una quota di residenti in Comuni della provincia, furono sradicate dal proprio contesto sociale e trapiantate a 30-40 metri di altezza in edifici con gli ascensori guasti o mai entrati in funzione, in un’area caratterizzata da enormi spazi vuoti e grandi distanze. Al censimento del 1991 nell’area di Scampia interessata dalle sette Vele risultavano 40.745 residenti. Fu innescata in questo modo una bomba sociologica che ha prodotto negli anni centinaia di emarginati, delinquenti, disadattati.
Scampia è diventata la maggiore piazza di spaccio di droga del Sud, una delle più grandi di Europa, luogo di svolgimento di faide interne alla criminalità di organizzata che hanno provocato in due riprese, tra il 2004 ed il 2012, circa 70 morti. Una fiction televisiva, nata dai romanzi di Roberto Saviano e prodotta da Sky, ha portato nel mondo questa immagine devastante di Napoli, scatenando al tempo stesso un effetto emulazione tra le nuove leve giovanili della criminalità che ben conosce chi si occupa di mass-media, oltre ad arricchire l’autore dei libri.
Per tutto questo la stessa cultura che le aveva prodotte ha cominciato a chiedere la demolizione delle Vele. Il primo fu il sindaco Bassolino (Pci-Pds-Ds-Pd) nel 1997, ma ci sono voluti sei anni per demolire tre dei sette mega-edifici. Nel 2016 la giunta De Magistris ha deciso di abbatterne altre tre, lasciandone in piedi una soltanto, la Vela celeste, dove dovrebbero essere trasferiti gli uffici della Città Metropolitana. A disposizione ci sono circa 107 milioni di euro del progetto Restart Scampia, finanziato con fondi nazionali e del “Patto per Napoli”, firmato nel 2016 dal Governo Renzi e dal sindaco De Magistris. Ma si è giunti al 20 Febbraio 2020 per avviare la demolizione della Vela verde, poi interrotta.
Le Vele di Scampia sono la cattiva coscienza della sinistra, che negli ultimi 45 anni, dal 1975 al 2020, ha governato Napoli per 35 anni, il monumento di un disastro urbanistico e sociale. “Abbattere le Vele – ha riconosciuto su “Il Mattino”(23.02.2020) Adolfo Scotto di Luzio – è diventata così l’ossessione dei nuovi regimi politici insediati a Palazzo San Giacomo a partire dagli anni Novanta: Bassolino, prima; De Magistris, poi. Il futile tentativo di chi, odiando la propria immagine, finisce per sparare allo specchio, non potendo fare altro”.
Il Piano di riqualificazione del Quartiere Scampia del Comune di Napoli rilevava la condizione di “forte degrado” nel quale versavano gli edifici delle Vele e le “condizioni di vivibilità non accettabili” e prevedeva una “sistemazione abitativa definitiva” per i residenti. A Scampia avrebbe dovuto partire “un processo di riqualificazione urbanistica ed edilizia” e di “rivitalizzazione socio-economica”. “La filosofia del progetto – era scritto nel Piano – è quella di conseguire questi obbiettivi in tempi contenuti”.
Era il mese di Aprile 1995, il sindaco era Antonio Bassolino. 25 anni dopo restano in piedi quattro Vele, tre ancora abitate, il processo di riqualificazione urbanistica e di rivitalizzazione socio-economica del quartiere Scampia non è neanche cominciato. (LN145/20).