(Lettera Napoletana) Fu veramente un primato per il Regno di Napoli e di Sicilia l’istituzione della “Cattedra di “Meccanica e Commercio” affidata ad Antonio Genovesi, nel 1754? La divulgazione favorevole, ma anche la storiografia ostile ai Borbone lo presentano così, ma un esame del contesto storico e dei personaggi, di Genovesi e dei suoi ispiratori, portano a conclusione diverse.

Antonio Genovesi era un abate, nato nel 1712 a Castiglione, piccolo centro del Salernitano. Probabilmente non aveva la vocazione religiosa e fu spinto dal padre al Sacerdozio. Nel 1768 si trasferì a Napoli per studiare retorica, matematica e diritto, ma si orientò presto verso la filosofia. Il suo primo libro (“La repubblica divina”) era ispirato alla filosofia di Platone, ma a Napoli Genovesi si orientò progressivamente “con sempre maggiore convinzione – scrive lo studioso di parte illuminista Giulio de Martino (Illuminismo Meridionale”, Liguori, Napoli 1995) – verso la Teologia critica e razionalistica: Cartesio, Locke, i Deisti inglesi”. Forte fu anche l’influenza sulla formazione di Genovesi del filosofo materialista inglese David Hume.

Della dottrina cattolica non gli restava praticamente niente, e niente gli restava della cultura napoletana che in quegli anni Giambattista Vico (1168-1744) difendeva orgogliosamente contro i cartesiani “infranciosati”. Al suo arrivo a Napoli, Genovesi aveva seguito i corsi di Retorica di Vico, ma non era stato influenzato dalle idee dell’autore della “Scienza Nuova”, che riproponeva la grande tradizione classica in opposizione all’empirismo ed al materialismo dei filosofi inglesi e francesi.

Con Locke – osserva de Martino – fu tutta la cultura inglese che entrò nell’orizzonte di Genovesi: da Bacone a Hobbes e a Newton (…)”. “La metafisica di Genovesi risultava influenzata dal razionalismo e dall’empirismo di Locke, che si risolvevano in una drastica demolizione del linguaggio e delle categorie filosofiche e teologiche tradizionali” (…). “Genovesi non approdava però semplicemente all’idea di una religione naturale – aggiunge de Martino – (…) quanto piuttosto all’idea di una religione morale’ (…) libera dal ricamo che vi aveva sovrimposto l’impostura dei Preti e l’ignoranza dei Popoli e quindi distinta dallareligione rivelata’”.

Sotto l’abito religioso, Genovesi non aveva più nulla di cattolico ed infatti i suoi amici e protettori erano Celestino Galiani (1681-1753), considerato il caposcuola dell’Illuminismo a Napoli, l’agente delle grandi famiglie toscane Bartolomeo Intieri (1677-1753), il giurisdizionalista, teorico della subordinazione della Chiesa allo Stato, Niccolò Fraggianni (1686-1763) e Leopoldo di Sangro, Principe di San Severo (1710- 1771), Gran Maestro della prima Loggia Massonica di Napoli ed occultista, che fece realizzare la famosa Cappella Sansevero, un monumento all’esoterismo ed all’alchimia.

Bartolomeo Intieri – scrive de Martino – istituì a proprie spese la Cattedra di Meccanica e Commercio, vale a dire di Tecnologia ed Economia che, anche col sostegno del Principe di Sansevero, fu assegnata nel 1754 a Genovesi” (“Illuminismo Meridionale”, pagg- 90-91).

La nascita della cattedra di Economia, che si può considerare cronologicamente la prima in Europa, non fu voluta da Carlo di Borbone né dal suo governo, ma da un ambiente ristretto di circoli illuministi e massoneria, tra i quali è praticamente impossibile segnare una linea di demarcazione.

Genovesi frequentò per lunghi periodi la “scuola” di Intieri, nella sua villa a Massaquano, una frazione di Vico Equense (Napoli). E scrisse lì alcuni dei suoi libri. La “scuola” formava esoteristi come Francesco Longano (1729-1796), un sacerdote che aveva aderito alla massoneria. Secondo il sito web del Grande Oriente d’Italia, Longano si era affiliato a tre logge massoniche. La ristampa della sua opera “Il Purgatorio ragionato”, è stata presentata nel 2014 nella “casa massonica Nathan alla presenza del Gran Maestro Stefano Bisi. Longano successe a Genovesi sulla Cattedra di Economia dell’Università di Napoli.

Lo storico illuminista Raffaele Ajello scrive che è certa la partecipazione di Genovesi alla rivolta contro l’istituzione del Sant’Ufficio (dicembre 1746), che fu organizzata dalla massoneria. Genovesi ne fu magna pars, com’è largamente provato, e come lo stesso Genovesi, che vi prese parte, testimoniò, il gruppo più o meno filomassonico dei ‘tribunalisti’ (giuristi e funzionari della Giustizia, n.d.r.) amici di Giannone” (Raffaele Ajello, Arcana Juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Jovene, Napoli 1976, pag. 246).

Le teorie economiche che Genovesi insegnava, il mercantilismo inglese ed il liberismo dei fisiocratici francesi, erano importate dalle potenze dominanti del tempo. Il mercantilismo era tarato sulle esigenze di una nazione come l’Inghilterra, che non dispone di materie prime e basava la sua Economia sul commercio marittimo, imponendo la sua legge anche attraverso il finanziamento della pirateria. Ma il Regno di Napoli e di Sicilia, sotto Carlo di Borbone, non aveva ancora una flottiglia mercantile e già praticava il protezionismo per sviluppare l’Economia nazionale, una linea che sarebbe stata seguita dagli altri sovrani borbonici anche a costo di scontrarsi con l’Inghilterra sulla questione del commercio degli zolfi.

Quanto ai fisiocratici francesi, teorizzavano l’assenza di intervento dello Stato nell’Economia assegnando al solo mercato il ruolo di regolatore. Anche questa teoria era estranea alle esigenze del Regno, che basò il suo modello di sviluppo sull’intervento dello Stato per la realizzazione di importanti infrastrutture combinato con l’iniziativa privata, ed attraeva gli investimenti stranieri creando, grazie alla bassa tassazione, le migliori condizioni per gli imprenditori. (LN156/21).