Appunti per mandare in frantumi un falso mito giovanile trasversale.

 Ernesto Che Guevara

 

Dal ’67 in poi, Ernesto Guevara, detto Che (in dialetto guaranì significa più o meno ehi, tu!), è stato una delle icone della sinistra giovanile ed ha rappresentato un modello di purezza di ideali e di sacrificio per larga parte della gioventù occidentale. 

Contrariamente a ciò che ci si sarebbe aspettato dopo la caduta del Muro di Berlino (1989), quando cioè i nuovi simboli giovanili avrebbero potuto, e dovuto, essere altri (il primo ragazzo che scavalcò il Muro stesso – Jan Palach – l’eroe inerme che ferma un carro armato in piazza Tienamen), il mito di Guevara ha preso nuovo vigore e la sua immagine è ricomparsa su bandiere, t-shirt, manifesti. Addirittura, il verso di una canzone di Jovanotti recita: “io credo che al mondo c’è una sola chiesa che va da Guevara a Madre Teresa”.

 Ci sono migliaia di pubblicazioni sul Che e le sue imprese; in Italia sono in commercio attualmente più di 50 titoli diversi; un milione le copie vendute; su Internet si trovano più di 200 siti italiani; sono in produzione un musical e un film.

Il mito di Guevara è universalmente riconosciuto ed accettato: dalla sinistra, dall’opposizione, dagli intellettuali, dall’area cattolica.

In realtà, con un’operazione studiata a tavolino, Guevara è diventato un simbolo nel quale ognuno può riconoscersi e trovare qualcosa di positivo: il capo rivoluzionario per i comunisti / l’antiamericano e il tribuno per i fascisti / il martire per gli idealisti di tutte le tendenze.

Questa operazione produce l’effetto di rendere positivo tutto ciò che abbia a che fare con il personaggio, cioè di trasferire l’ammirazione per il personaggio anche alle sue idee e alle sue azioni, e comunque di renderle familiari, abbassando la soglia di valutazione critica.

 

La realtà: l’utopista – il giacobino – il comunista

Di famiglia alto-borghese ma in precarie condizioni economiche, Guevara ricevette un’educazione che, oggi, definiremmo radical-chic; la casa dei genitori era regolarmente frequentata da esponenti dei partiti comunisti sudamericani e da rivoluzionari spagnoli del 1936.

Fu dichiaratamente marxista e stalinista; ammirò e cercò di riprodurre a Cuba la prassi della rivoluzione cinese di Mao; tra i suoi compagni fu considerato un estremista, un radicale; dai Sovietici fu considerato fedele alla Rivoluzione e teoricamente preparato.

Nei suoi discorsi (numerosi e tenuti soprattutto dopo la rivoluzione cubana, sia sull’isola che in sedi internazionali) e nei suoi scritti (diari, testi ideologici e manuali di guerriglia) si ritrovano esattamente le stesse idee proclamate dai rivoluzionari di tutti i tempi, a partire dalla Rivoluzione Francese in poi:

  • la rivoluzione è la soluzione di ogni male;
  • la rivoluzione va provocata anche quando il popolo che ne sia destinatario non ne scorga la necessità;
  • il popolo è un’entità astratta ed ideologica che non corrisponde ad uomini concreti, in carne ed ossa;
  • ogni rivoluzione è fattain nome del popolo, anche quando questo sia contrario o la tema (come in Bolivia);
  • la rivoluzione, dunque, deve essere violenta, deve imporsi con la forza e deve sovvertire qualunque forma di ordine;
  • la rivoluzione porta necessariamente una giustizia rivoluzionaria, un’istruzione rivoluzionaria, una economia rivoluzionaria, una gestione rivoluzionaria del potere, persino una medicina rivoluzionaria, basate su logiche interne che nulla hanno a che vedere con la realtà concreta;
  • la rivoluzione deve costruire l’uomo nuovo, che è collettivo e che conserva la propria individualità soltanto per quel che basti a dare un contributo personale al progresso della rivoluzione stessa;
  • l’uomo nuovo non ha alcun genere di necessità, desiderio o sogno: deve vivere soltanto per il progresso della rivoluzione;
  • la rivoluzione non si ferma mai ma continua all’infinito, nello spazio e nel tempo.

 La rivoluzione di Guevara: Cuba

Guevara incarna perfettamente la sinistra figura del rivoluzionario di professione.

Stando alla sua movimentata biografia, si può affermare che in Cuba e in Fidel Castro, egli vide semplicemente l’occasione propizia per realizzare l’utopia nella quale credeva; se non avesse incontrato questa opportunità, avrebbe sicuramente fatto la rivoluzione da qualche altra parte. Del resto, egli stesso affermava che “la rivoluzione si può fare in qualsiasi momento, in qualunque parte del mondo”.

 

Periodo della guerriglia:

i suoi diari e gli stessi compagni d’arme testimoniano quanto fosse spietato nei confronti di chiunque, in qualsiasi modo, anche minimo, intralciasse o mettesse a rischio l’avanzata della lotta armata.

Il cammino del Che nella Sierra Maestra era cosparso di cadaveri (…) le cui morti aveva ordinato e che in alcuni casi aveva giustiziato di persona”.

 

Periodo della realizzazione della Rivoluzione:

la sua prima carica fu di Procuratore Generale: si occupò di eliminare chiunque potesse rappresentare un pericolo per la rivoluzione, cioè chiunque non aderisse totalmente al nuovo regime.

Nei primi 100 giorni, con sentenze da lui personalmente controllate, furono eseguite 55 fucilazioni e nei mesi successivi si arrivò a 550 persone assassinate dalla “giustizia” cubana.

Dal 1959 in poi, Guevara fu un vero uomo di potere della nomenklatura cubana e, senza essere il leader riconosciuto della Rivoluzione, rivestì varie cariche attraverso le quali, di fatto, orientò l’intero processo rivoluzionario: Presidente della Banca Nazionale – Capo dell’Istituto per la riforma agraria – Ministro per l’Industria, incarico attraverso il quale praticamente diresse l’economia del paese ed influenzò gli affari della Difesa, degli Interni e degli Esteri. Infine, seguì l’attività della polizia politica.

Come Ministro dell’Industria applicò ciecamente la teoria socialista del sistema di gestione centralizzato, che prevedeva un’economia pianificata, totalmente slegata da qualunque logica produttiva,attuata in vista di obiettivi ideologici. I suoi punti nodali erano:

– sostituzione dell’economia agricola di Cuba con l’industria pesante metallurgica (punto di riferimento di tutti i regimi comunisti) benché non esistessero le sia pur minime condizioni per realizzarla;

– indottrinamento della classe operaia nata dalla rivoluzione (costituita da uomini nuovi con una forte coscienza comunista), che non avrebbe avuto denaro in cambio del lavoro svolto, ma incentivi morali e distribuzione diretta di beni, cioè distribuzione da parte dello Stato di quanto necessario per vivere;

– lavoro volontario obbligatorio, da svolgersi la domenica;

– campi di lavoro rieducativo, cioè l’equivalente dei Gulag sovietici, come quello di Guanacahabibe; la pena in tali campi era volontaria: l’alternativa era essere licenziato con la formula “espulso per grave inidoneità al servizio – indegno”, vero e proprio viatico per la disoccupazione e l’emarginazione sociale.

“Il socialismo senza la morale comunista non mi interessa”

I risultati furono negativi sin dall’inizio, come del resto è accaduto in tutti i Paesi socialisti, e fu questa gestione ideologica la causa della gravissima depressione economica nella quale Cuba versa ancora oggi; l’embargo americano ebbe inizio soltanto negli anni seguenti ed è sempre stato eluso da molti Paesi.